Archeologia in Penisola. Presentazione del Catalogo del Museo di Stabia

12 aprile 2025 | 10:24

video , foto e interviste di lucio esposito e sara ciocio 

PRESENTAZIONE DEL CATALOGO  IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI STABIA
A CURA DI MARIA RISPOLI, GABRIEL ZUCHTRIEGEL
11 APRILE 2025. ORE 18.00   TEATRO SUPERCINEMA CASTELLAMMARE DI STAΒΙΑ
SALUTI ISTITUZIONALI Luigi Vicinanza Sindaco
LE SFIDE DEL TERRITORIO
Nunzio Fragliasso Procuratore della Repubblica a Torre Annunziata
Maria Rispoli Direttrice  del Museo Archeologico Stabia
Gabriel Zuchtriegel Direttore  del Parco Archeologicio  Pompei
MODERA Antonio Ferrara
LA PAROLA AGLI AUTORI
Intervengono: Domenico Camardo, Renata Cantilena, Carmela Capaldi, Antonio Ferrara, Maria Rispoli,
Umberto Pappalardo, Gabriel Zuchtriegel

Evento aperto alla cittadinanza, organizzato con il sostegno di Comitato per gli Scavi di Stabia, Associazione Commercianti Stabiesi, Associazione Antica Necropoli di Stabia Madonna delle Grazie

Castellammare rilancia: presentato il nuovo catalogo del Museo Archeologico Stabiae

Dal Supercinema alla storia, tra cultura, turismo e sviluppo. Il Sindaco Vicinanza: “Una pietra miliare per Stabiae nel panorama internazionale”

Castellammare di Stabia – Una serata all’insegna della cultura e dell’orgoglio cittadino quella tenutasi presso il Supercinema stabiese, dove è stato presentato il nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabiae, un’opera che il Sindaco dott. Antonio Vicinanza ha definito “una pietra miliare per la consacrazione degli scavi stabiani nel panorama archeologico internazionale”.

Il volume, curato da Gabriel Zgriegel e Maria Rispoli, raccoglie anni di studi e ricerche e rappresenta, nelle parole del primo cittadino, “una sistemazione scientifica del valore dei nostri scavi”, dando il giusto riconoscimento a un patrimonio iniziato più di 70 anni fa con l’opera pionieristica di Libero D’Orsi, a cui è intitolato il museo.

Dalla cultura all’identità

“Gli scavi di Stabiae – ha dichiarato il sindaco – sono sempre stati fondamentali, ma con questo lavoro entriamo a pieno titolo nel circuito della grande archeologia mondiale. È un riconoscimento che va oltre le pagine di un libro: è la narrazione della nostra identità, il racconto della nostra storia, e soprattutto una proiezione verso il futuro”.

Capitale della Cultura? “Un sogno da coltivare con i piedi per terra”

Interpellato sull’ambizioso progetto – poi non realizzato – di Capitale Italiana della Cultura, Vicinanza ha risposto con realismo: “Non c’erano i presupposti, ma l’energia profusa resta. Noi dobbiamo lavorare quotidianamente sulla legalità, sulla promozione culturale e turistica, e sullo sviluppo delle attività produttive”.

Citazione d’obbligo per il Presidente Sergio Mattarella, che il sindaco riprende con convinzione: “La cultura libera da ogni ideologismo deve contribuire allo sviluppo economico dei territori”. Ed è proprio in quest’ottica che l’amministrazione punta sulla valorizzazione di un’offerta unica, che va dal mare alla montagna.

Dalla Reggia al mare: turismo e futuro sostenibile

Con l’inizio della stagione turistica, Castellammare si presenta pronta ad accogliere un flusso crescente di visitatori, grazie anche all’uso dei due porti cittadini come scali turistici per le escursioni archeologiche della zona. “Un unicum non solo per Napoli – sottolinea Vicinanza – ma per tutto il Mezzogiorno. Con la balneazione finalmente restituita ai cittadini e la straordinaria opportunità della Funivia del Faito, abbiamo una proposta turistica senza pari”.

E su una battuta provocatoria, il Sindaco chiude con un sorriso: “Fino al 5 agosto dello scorso anno non era possibile farsi il bagno. Ma da quest’estate sì, e quindi sarà finalmente possibile vivere un’esperienza unica: bagno al mattino nelle acque stabiesi e pranzo in montagna. Certo, mettendoci la felpa…”.

Un futuro che si costruisce tra memoria, bellezza e visione. Con l’archeologia come punto di partenza e non di arrivo.

Prof. Umberto Pappalardo: “A Stabiae affreschi di una raffinatezza aristocratica. E sull’opera in America…”

Durante la presentazione del nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabiae, il noto archeologo lancia un appello per fare luce su un’opera trafugata e oggi conservata negli USA.

Castellammare di Stabia – Alla presentazione del nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabiae, tra i presenti spicca la figura del prof. Umberto Pappalardo, archeologo di fama internazionale, profondo conoscitore dell’arte vesuviana e instancabile promotore del patrimonio stabiano. A lui si deve un importante contributo contenuto all’interno del volume, curato da Gabriel Zgriegel e Maria Rispoli.

Intervistato durante la serata, Pappalardo ha voluto sottolineare il valore artistico e culturale degli affreschi stabiani:
“Sono pitture meravigliose, di altissimo livello. Non si tratta di semplici decorazioni, ma di vere opere d’arte commissionate da aristocratici romani, senatori, uomini di potere. Gente che aveva mezzi e cultura, che si circondava del meglio.”

Un esempio? Il caso dell’ambone di Pomponiano, figura storica legata anche ai soccorsi di Plinio il Vecchio durante l’eruzione del Vesuvio, citata dallo stesso Pappalardo come simbolo del prestigio delle famiglie che abitavano queste ville d’otium, immerse nel verde e affacciate sul Golfo.

Il nodo del reperto “americano”

Ma nel suo intervento, il professore non ha evitato di toccare un tema delicatissimo: la questione del reperto stabiano attualmente conservato in un museo degli Stati Uniti. Si tratta di un affresco la cui provenienza – secondo gli studiosi – sarebbe riconducibile proprio a una villa di Stabiae.

“Abbiamo scritto articoli, ci sono documentazioni e studi – afferma Pappalardo – ma manca la prova provata. Senza quella, gli americani non lo restituiranno mai, anche perché sostengono di averlo acquistato per milioni di dollari.”

Il professore però non si arrende, e rilancia:
“Se si trovasse il pezzo mancante – un frammento di piede mancante dalla figura – potremmo avere la chiave. Sarebbe come ritrovare l’arma del delitto. E allora sì, si aprirebbe uno spiraglio per riportare a casa quel tesoro.”

Tra ricerca e passione

Con la consueta eleganza, Pappalardo ha poi ringraziato per l’invito e ha salutato con affetto il pubblico presente, lasciando la platea con l’eco di un appello forte e chiaro: proteggere, valorizzare e restituire la dignità a un patrimonio che è memoria viva di una civiltà, e orgoglio del territorio.

Una serata che ha visto la storia riemergere dalle pagine di un catalogo, ma anche dai silenzi di vicende ancora aperte. Castellammare guarda avanti, ma non dimentica. E continua a cercare le sue radici, anche quando affiorano a migliaia di chilometri di distanza.

Nicola Longobardi: “Questo catalogo è il frutto di 35 anni d’amore per Stabiae”

L’editore della casa editrice Eidos racconta la genesi e l’importanza del nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabiae, presentato al Supercinema di Castellammare.

Castellammare di Stabia – Alla cerimonia di presentazione del nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabiae, tenutasi nel cuore culturale della città, il Supercinema, non poteva mancare Nicola Longobardi, editore della casa editrice Eidos, che ha curato la pubblicazione del volume, accolto con entusiasmo da studiosi, cittadini e appassionati.

Questo libro è come un figlio, il risultato di 35 anni di lavoro e dedizione”, ha affermato Longobardi con emozione. Un percorso che inizia negli anni ’90, quando l’editore pubblicò il suo primo volume dedicato all’Antiquarium di Stabiae, in collaborazione con la Biblioteca del Clero della Chiesa della Giustizia di Castellammare. “Quella fu la mia prima esperienza editoriale. Da lì, è cominciato tutto”.

Un catalogo monumentale

Il nuovo catalogo, curato da Gabriel Zgriegel e Maria Rispoli, non è solo una pubblicazione: è una testimonianza scientifica e visiva di un patrimonio straordinario.
Parliamo di un’opera corale – spiega Longobardi – con circa 20 saggi critici e oltre 500 schede accompagnate da altrettante fotografie, che documentano i singoli reperti presenti nel museo. Un lavoro di squadra che restituisce dignità e luce agli scavi di Stabiae, finalmente riconosciuti nel panorama archeologico internazionale”.

Ma non si tratta solo di contenuti: anche la forma conta. L’editore sottolinea con orgoglio l’attenzione per la grafica e l’allestimento. “L’ingresso del museo è già un’esperienza immersiva: una mappa luminosa tridimensionale accoglie il visitatore, segnando subito il tono dell’intera visita. Questo catalogo è coerente con quella visione moderna, accessibile e rigorosa”.

Un volano per la Capitale della Cultura?

Alla domanda su un possibile ruolo del catalogo come leva per nuove candidature culturali di Castellammare, Longobardi risponde con determinazione:
Questo volume può essere un importante strumento di supporto per rilanciare la candidatura della città come Capitale Italiana della Cultura. È un atto d’amore verso il territorio e una prova tangibile della sua ricchezza artistica e storica”.

Un progetto editoriale, quindi, ma anche una dichiarazione d’intenti, che guarda avanti con la forza della memoria e il coraggio della bellezza. L’auspicio, conclude Longobardi, “è che questo catalogo diventi un riferimento per studiosi, turisti, istituzioni, ma soprattutto per i cittadini, perché Stabiae è un bene comune”.

Mariano Nuzzo: “Stabia merita cura e attenzione. La Soprintendenza sarà al suo fianco”

L’intervento del Soprintendente all’Archeologia in occasione della presentazione del nuovo catalogo del Museo di Stabiae: tra gratitudine, amicizia e impegni concreti per il territorio.

Castellammare di Stabia – Un saluto inaspettato ma sentito, quello del Soprintendente all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Mariano Nuzzo, intervenuto alla presentazione del catalogo del Museo Archeologico di Stabiae. Il suo è stato un momento breve, ma denso di significato, in cui ha unito la sua voce a quella delle istituzioni e degli studiosi, con uno sguardo concreto al presente e al futuro del patrimonio stabiano.

Conosco bene il lavoro che Gabriel Zgriegel e Maria Rispoli hanno portato avanti – ha dichiarato Nuzzo – non solo con competenza, ma con passione autentica. Molto del tempo speso in questo progetto va ben oltre i doveri professionali: è un dono al territorio.”

Un lavoro corale e trasversale

Il catalogo, secondo il Soprintendente, non si limita a documentare i reperti del museo:
“È un’opera che raccoglie memorie, storie e testimonianze che superano i confini di Stabiae e dello stesso Parco Archeologico di Pompei.”
Un patrimonio diffuso, dunque, che si nutre del contributo di numerose professionalità, archeologi, funzionari, studiosi e tecnici, uniti da un intento comune: restituire valore e visibilità a una delle aree più ricche della Campania antica.

La presenza attiva della Soprintendenza

Mariano Nuzzo ha voluto poi ribadire il ruolo attivo della Soprintendenza, non solo nel settore archeologico, ma anche architettonico e urbanistico.
Stiamo già lavorando a progetti che interessano l’intero territorio – ha spiegato – e a breve partiranno i lavori di restauro per il complesso di San Francesco, che verrà restituito alla comunità stabiana.”

L’auspicio è quello di continuare a collaborare con il Comune, il Parco Archeologico e tutte le forze culturali presenti sul territorio: “La Soprintendenza sarà presente, pronta a sostenere e affiancare le iniziative culturali di qualità”.

Conclusione tra gratitudine e speranza

Il suo intervento si è chiuso con parole di affetto e stima:
“Ringrazio chi ha lavorato con dedizione a questo catalogo. È un segno di amicizia, di vicinanza e soprattutto di rispetto per un territorio che merita cura e attenzione.

Un messaggio che va oltre la celebrazione: è una dichiarazione di impegno per il futuro di Stabiae, che si candida sempre più a diventare un punto di riferimento per l’archeologia mediterranea e per la valorizzazione del patrimonio culturale del Sud Italia.

Gabriel Zuchtriegel: “Il Doriforo deve tornare a Stabia. È una battaglia etica, non solo legale”

Il direttore del Parco Archeologico di Pompei interviene alla presentazione del catalogo del Museo di Stabia: “Serve una nuova visione culturale che dia dignità e centralità a questo territorio”

Castellammare di Stabia – Una dichiarazione appassionata, carica di determinazione e visione, quella del direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, intervenuto durante la presentazione del nuovo catalogo del Museo Archeologico di Stabia.
Al centro del suo intervento, un tema tanto sentito quanto irrisolto: la restituzione del celebre Doriforo di Stabia, oggi conservato negli Stati Uniti, al Minneapolis Institute of Art.

Il vuoto e il simbolo

Zuchtriegel non ha usato mezzi termini:
“Abbiamo già immaginato il posto dove esporre il Doriforo nel Museo di Stabia. C’è un vuoto, una mancanza che pesa.”
Il direttore ha descritto il punto preciso del museo dove la statua troverebbe perfetta collocazione, sostituendo l’attuale copia che “oggi accoglie i visitatori in fondo a una lunga galleria”.

Una missione diplomatica fallita

Due anni fa, su incarico del Ministero della Cultura, Zuchtriegel si è recato a Minneapolis insieme al Nucleo Tutela Patrimonio dei Carabinieri per tentare una mediazione con il museo americano:
Offrimmo prestiti, collaborazioni, restauri, ma nonostante un incontro che sembrava promettente, oggi siamo forse ancora più lontani da un accordo.

La riflessione si fa amara quando racconta la reazione della direttrice americana:
“Quando ci chiese: ‘Ma se ve la restituiamo, dove la mettereste? A Napoli? A Pompei?’ capii che ci sono due mondi che non si comprendono. Per noi, è ovvio: il Doriforo va riportato a Stabia. Altrimenti, che senso ha?”

Un grande museo da riconoscere

Zuchtriegel ha voluto ribadire un messaggio forte:
“Il Museo Archeologico di Stabia è un grande museo. Architettonicamente, per estensione e valore dei reperti. Deve essere percepito come tale, anche all’estero.”
Un museo che non è secondo a nessuno, e che ha il diritto di riappropriarsi dei suoi simboli identitari, come appunto il Doriforo.

Non solo giustizia, ma etica della memoria

Quella del Doriforo non è solo una battaglia giuridica, ma anche etica, culturale. È un’opera che parla della storia di questo territorio, non può restare in un museo che nulla ha a che fare con le sue origini.”

Il direttore ha anche sottolineato come il Doriforo non sia una copia qualunque dell’originale greco perduto, ma una tra le migliori mai realizzate. E ha concluso con un pensiero carico di prospettiva:
“Stiamo lavorando per valorizzare Stabia come parte integrante del progetto ‘Oltre Pompei’. La buffer zone UNESCO è stata ampliata, e Stabia ne fa ufficialmente parte. Adesso è il momento di agire.”

Il catalogo e nuove scoperte

Nel catalogo presentato durante l’evento, trovano spazio anche nuove scoperte sul luogo di ritrovamento del Doriforo, grazie a contributi della professoressa Carmela Capaldi, e un approfondimento sulla vicenda legale a cura del procuratore Nunzio Fragliasso.

Una nuova narrazione per Stabia: la direttrice Maria Rispoli racconta la rinascita culturale del museo archeologico

Stabia non è solo una città del passato, ma un territorio vivo, stratificato, ricco di cultura e di identità. A testimoniarlo con passione e visione è Maria Rispoli, direttrice del Museo Archeologico di Stabia, che nel corso di un recente intervento ha tracciato una nuova immagine della città antica: non più solo “ruderi”, ma un sistema culturale diffuso, colto e produttivo.

La direttrice ha messo al centro del suo discorso l’inedita rappresentazione di Stabia emersa grazie al nuovo riallestimento del museo. “Non si tratta solo di una collezione di reperti”, ha detto, “ma del racconto di un territorio vasto, articolato, che va ben oltre Castellammare di Stabia e la collina di Varano”. Rispoli ha esteso idealmente i confini della “Stabia antica” all’intero Ager Stabianus, comprendendo i comuni limitrofi come Santa Maria La Carità, Sant’Antonio Abate, Gragnano, Casola, Lettere e oltre, fino a Dal Gerola.

Nel nuovo allestimento museale, il paesaggio stabiano ha assunto un ruolo centrale, diventando chiave interpretativa dei paesaggi culturali compresi tra il Vesuvio e la penisola sorrentina. A suggellare questa visione, un affresco straordinario – finora interpretato come una “scena di cantiere” – è stato riletto in una nuova luce: un documento topografico e simbolico che mostra due elementi cruciali del territorio antico.

Il primo è un ponte sul fiume Vernotico, identificato da Rispoli come l’antico Ponte San Marco, punto terminale della via Nuceria-Stabias, che collegava Nocera al quadrivio di Varano. Il secondo è una via colonnata, già individuata nelle mappe borboniche dell’ingegner Carl Weber, che attraversava l’area stabiana e che oggi sarebbe invisibile, se non per queste testimonianze artistiche.

Elemento chiave del racconto è la presenza del dio Mercurio, rappresentato nell’affresco come guida dei mercanti, simbolo di commercio e di impresa. Questo dettaglio, secondo la direttrice, ribalta l’interpretazione tradizionale: la scena non rappresenta lavori edilizi, ma un rituale mercantile che ricorda quello descritto da Ovidio a Roma, presso Porta Capena. “Quel ponte – ha spiegato – è un luogo simbolico di passaggio e scambio, dove le merci provenienti dal territorio sarnese e dall’Ager Stabianus si dirigevano verso il porto di Castellammare per solcare il Mediterraneo.”

Maria Rispoli ha quindi sottolineato il ruolo attivo di Stabia nel sistema economico e culturale dell’antichità: non solo punto di passaggio, ma cuore pulsante della produzione agricola e artigianale, con ville rustiche dotate di zone produttive e spazi per l’intrattenimento, come dimostrano i ritrovamenti a Carmiano e Villa Cuomo.

La direttrice ha inoltre annunciato con entusiasmo che l’affresco sarà nuovamente visibile al pubblico dal 15 maggio, non più come semplice “scena di cantiere”, ma come “paesaggio stabiano”, chiave di lettura della rinascita culturale di questo territorio. Non è tutto: un secondo affresco, appena scoperto, racconterà il mare e la costa, ampliando ulteriormente la narrazione stabiana.

In chiusura, Rispoli ha anticipato l’avvio di un progetto di marketing culturale territoriale volto a far emergere l’identità profonda di Stabia, riscoprendo e valorizzando il suo patrimonio non solo materiale, ma anche immateriale, economico e simbolico.

“Stabia è stata grande nella storia, ma può esserlo anche nel presente e nel futuro, se sapremo raccontarla con la giusta forza e consapevolezza”, ha concluso. Un messaggio chiaro, che suona come un invito a tutta la comunità: riscoprire la propria terra per darle nuova vita.

Il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, dott. Fragliasso, alla presentazione del Catalogo, sul Doriforo: “Una storia giudiziaria, ma anche civile. Deve tornare a casa”

 «Chi mi conosce sa che sono refrattario a convegni e congressi, ma questa è una storia che merita di essere raccontata». Con queste parole il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, dott. Nunzio Fragliasso, ha aperto il suo intervento nel corso di un incontro pubblico dedicato al Doriforo, celebre statua di epoca romana attualmente custodita al Museo di Minneapolis, ma, secondo gli inquirenti, trafugata illegalmente da Stabia nel 1976.

Una nuova frontiera: l’archeologia giudiziaria

Fragliasso ha illustrato come, grazie all’intuizione e al lavoro dei magistrati che lo hanno preceduto – Massimo Sanna, Alessandro Pennasilico e Pierpaolo Filippelli – sia stato sviluppato un innovativo metodo d’indagine che potremmo definire “archeologia giudiziaria”, un connubio tra giurisprudenza e tutela del patrimonio culturale. Un unicum a livello nazionale, ha sottolineato il presidente, che ha permesso negli ultimi anni di riportare alla luce storie dimenticate e, in alcuni casi, veri e propri tesori.

Il caso Doriforo: la prova documentale della provenienza illecita

Il cuore dell’intervento è stata la vicenda giudiziaria del Doriforo, statua di inestimabile valore archeologico trafugata – secondo la ricostruzione della Procura di Torre Annunziata – dalla collina di Varano, nel marzo del 1976, durante lavori edili. La statua sarebbe poi finita nelle mani del noto trafficante svizzero Eli Borowski, da lì esportata clandestinamente negli Stati Uniti.

Il giudice ha rivendicato con fermezza il lavoro della Procura: «Abbiamo prova documentale della provenienza stabiese della statua e della consapevolezza da parte del museo di Minneapolis dell’illiceità dell’acquisto. Questo ci ha portato a richiedere e ottenere un provvedimento di confisca da parte del GIP del Tribunale, il 18 gennaio 2022». Nonostante la difesa del museo abbia ottenuto copia degli atti, non è mai stata presentata opposizione al decreto.

La rogatoria e il silenzio degli Stati Uniti

Fragliasso ha poi lamentato l’assenza di una risposta concreta da parte delle autorità americane, nonostante la rogatoria internazionale inoltrata a Washington nel febbraio 2022 e tre successivi solleciti. «Abbiamo fornito tutti i documenti richiesti, persino quelli provenienti dagli stessi archivi statunitensi», ha spiegato, sottolineando con amarezza come l’ostinazione della Procura non sia ancora stata premiata.

Un lavoro certosino tra vecchie carte e nuove scoperte

Le indagini sono ripartite nel 2020 grazie al ritrovamento di affreschi trafugati dalla villa di Numerius Popidius Florus a Boscoreale, oggi esposti al Getty Museum di Los Angeles. Una pista ha riportato gli inquirenti a Borowski, coinvolto anche nel caso Doriforo. A quel punto, il team di Torre Annunziata ha riesaminato minuziosamente i documenti acquisiti decenni fa: lettere, foto, testimonianze e perfino un’intervista del TG2 del 1980 a Cleto Cucci, in cui l’avvocato parlava apertamente del trafugamento della statua.

Particolarmente significativa una lettera del restauratore americano Joseph Terbrack del 1976, in cui dichiara di aver ripulito la statua da depositi di terra, smentendo la tesi che fosse stata rinvenuta in mare aperto.

Il documento chiave: le radici e il “vecchio furto di Castellammare”

Tra gli elementi più clamorosi emersi, un appunto scritto a mano da un funzionario del museo americano: «Ora che guardo la testa del Doriforo, mi chiedo se quelle non siano tracce di radici… meglio non dirlo troppo ad alta voce, o il vecchio furto di Castellammare potrebbe tornare fuori». Una frase che, secondo Fragliasso, «parla da sola» e dimostra che l’acquisto fu fatto con piena consapevolezza dell’origine illecita dell’opera.

Conclusione: “Una battaglia per la legalità e l’identità”

In chiusura, il presidente Fragliasso ha sottolineato come questa non sia solo una questione legale, ma una battaglia civile: «Il Doriforo è parte della nostra storia, della nostra identità. Deve tornare a casa. E noi continueremo a lottare con gli strumenti della giustizia, ma anche con la forza della verità e della memoria».

Un messaggio forte, che va oltre le aule di tribunale, e che invita alla riflessione su quanto sia importante, oggi più che mai, difendere il nostro patrimonio culturale dalle mani dell’illegalità.

“Sotto terra siamo grandi uomini”: Libero D’Orsi e la riscoperta romantica di Stabia

“Vogliono chiamarmi archeologo… ma io non credo di esserlo. Forse, al massimo, un archeologo romantico, un dilettante. Ma comunque io mi metto a disposizione.” Così si presenta Libero D’Orsi, nel prezioso video-documentario che ne conserva la voce, il volto e la passione contagiosa. Scomparso nel 1977, D’Orsi fu l’anima e il motore della riscoperta dell’antica Stabiae, la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., oggi parte integrante del patrimonio archeologico della Penisola Sorrentina.

Il documentario, realizzato negli anni ’70, è un raro frammento di memoria viva: D’Orsi vi racconta con tono semplice, affabile, ma fermo, il suo straordinario percorso umano e culturale. “Quando mi sono sentito libero di me”, dice, riferendosi al dopoguerra, “sono tornato al mio paese. E ho pensato: questo è un terreno archeologico. Qui bisogna scoprire Stabia”.

Non fu una vocazione improvvisa, ma una chiamata interiore: “uscimmo da un cataclisma”, racconta con emozione, riferendosi alla Seconda Guerra Mondiale, “e io mi misi a cercare Stabia, anche se all’inizio ridevano di me.” Eppure, tra colline e proprietà private, con pochissimi mezzi, riuscì a riaprire uno squarcio sul passato. “I Borboni avevano fatto qualcosa, ma poi hanno tutto seppellito. Bisognava cominciare da capo.”

Con pochi scavatori, talvolta con l’aiuto di studenti universitari o semplici volontari, riuscì a riportare alla luce ville romane straordinarie come Villa San Marco e Villa Arianna. “Li catechizzai,” dice sorridendo, “e dissi loro una parola un po’ antipatica: oggi sulla superficie siamo quel che siamo, ma sotto terra siamo grandi uomini. Volete essere grandi uomini? Scavate.” E loro scavarono.

Il video è un piccolo scrigno di umanità, accompagnato da immagini suggestive: sarcofagi, oggetti in avorio, iscrizioni, architetture sepolte. Ma è la voce di D’Orsi a commuovere davvero. La sua non fu solo una missione scientifica, ma una dichiarazione d’amore per il proprio territorio, per la storia nascosta, per la bellezza sepolta sotto la polvere dei secoli.

Oggi, a distanza di decenni, Stabiae è un sito archeologico di importanza mondiale. E il nome di Libero D’Orsi continua a vivere non solo nei libri e nei musei, ma nella passione di chi – come lui – crede che ogni pietra, ogni frammento, possa raccontare una storia. Basta avere il coraggio e la pazienza di ascoltarla. O di scavarla.

estratti dal catalogo

VILLA SAN MARCO:  IL PORTICO SUPERIORE, L’ERUZIONE, I NUOVI SCAVI
CARLO RESCIGNO

L’area di Villa San Marco occupa la parte del pianoro di Varano che restituisce, a oggi, uno spessore stratigrafico maggiore che in qualsiasi altro luogo a oggi noto dell’antica Stabia.
Qui, presso il termine settentrionale della falesia, è ubicato quanto noto dell’impianto urbano rilevato in epoca borbonica e og parte risepolto (tav. 1).
La villa attualmente visibile (fig. 1) è parte di una fitta su stratigrafica che prende avvio con strati arcaici per proseguire occupazione repubblicana e la successiva costruzione del comp gusteo, poi ammodernato in epoca claudia e infine riedificato terremoto del 62 d.C..
Il complesso, affacciato sul golfo, come ricordavamo è al delfarea del possibile insediamento urbano. I risultati delle indagini ge-ognostiche recentemente realizzate ne hanno rivelato la prossimità a una fitta rete di anomalie tramite le quali si completerebbe lo spazio vuoto tra la villa e quanto noto di esso¹.
Il complesso residenziale è stato scavato nella sua quasi totale inte-rezza. Le ricerche si erano arrestate in corrispondenza del grande por-tico superiore, un tempo noto solo in avvio e ritenuto poco più esteso di quanto portato in luce con gli scavi del D’Orsi. Una felice intuizione ha permesso, tramite una campagna geognostica, di ritrovare la colon-na angolare opposta a quella nota e di fissare la lunghezza di esso a poco meno di 100 metri (figg. 2-3): un episodio architettonicamente dominante della villa, che ritroviamo simile, per estensione e impiego di spazio, nel quadriportico del complesso stabiano di Villa Arianna, La nuova parte del portico si sviluppa in gran parte al di fuori dell’attuale limite del parco, ma in area demaniale, ed è ancora coperta dagli strati eruttivi e dai resti delle secolari frequentazioni agricole, un frammento di bella campagna stabiana.

Le esplorazioni degli anni Cinquanta. Antonio Ferrara – Maria Cristina Napolitano

A Libero D’Orsi, preside della Scuola Media di Castellammare di Stabia fino al 1958, si deve la deci-sione di avviare nel 1949 la seconda esplorazione di Stabiae, la cui scoperta risale agli scavi borbo-nici del 1749 (D’ORSI 1956; FERRARA 1989; CAMARDO 2001).
<Non appena nominato Ispettore onorario alle Antichità e Belle Arti, il 17 giugno 1949, il D’Orsi si attivo per la tutela del patrimonio archeologico stabiano, con l’obiettivo di riprendere gli scavi fermi dal tempo dei Borbone. All’inizio il soprintendente Amedeo Maiuri, che gli aveva conferito l’incarico onorario, non intendeva aprire un altro fronte rispetto al gravoso impegno che comportava lo scavo e alla salvaguar dia di Pompei e di Ercolano, ma nonostante ciò il 9 gennaio del 1950 il preside D’Orsi iniziò a scaven all’interno e all’esterno della Grotta di San Biagio, un sito paleo-cristiano posto alla base della coll Varano (D’ORSI 1956; FERRARA 2000; NOTOMISTA 2019).
Le lamentele delle autorità ecclesiastiche e le preoccupazioni di Maiuri per l’intraprendenza d portarono il D’Orsi ad abbandonare l’esplorazione della Grotta, rivolgendo la sua attenzione sommità della collina (NOTOMISTA 2024). Avvertita la Soprintendenza Archeologica e ottene messo di effettuare i lavori dal proprietario del fondo, il notaio Gaspare De Martino, inizio gl febbraio 1950, con manodopera assunta a sue spese (D’ORSI 1956; D’ORSI 1996).

La sua perseveranza fu premiata: in poco tempo si misero in luce tre ambienti di quella che stree nunciava essere una grande villa residenziale e si scoprì l’affresco col mito di Arianna abbandonata da Dioniso sull’isola di Nasso, la pittura del triclinio che diede il nome all’edificio, sostituendo l’appellativo borbonico di Villa della Venditrice di Amori ispirato dall’omonimo dipinto scoperto nel 1759 e oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La scoperta suscitò vasto interesse nel mondo dell’archeologia. La Soprintendenza forni una squa-da Stabiae venne assegnato l’assistente Vincenzo Cuccurullo della Direzione degli Scavi di Pom-pet, al quale si unirono il dottor Pietro Soprano e l’assistente D’Avino.
Grazie alla riscoperta di strutture antiche sul pianoro di Varano e alla definitiva dimostrazione dell’e-levata qualità di ciò che vi era conservato, si ebbe come effetto una necessaria presa di coscienza dell’esistenza di una città sepolta, impedendo che lo sviluppo urbanistico degli anni compresi tra il Sessanta e l’Ottanta cementificasse completamente anche la collina (CAROSELLA 1991).
Un altro merito del preside D’Orsi fu quello di reperire fondi per le attività di scavo e restauro, avendo coinvolto in quelle attività alcuni tra i più facoltosi cittadini stabiesi. Egli decise di dar vita a un “comitato di uomini scelti che lotti con me” che, riuniti in un’associazione ancora oggi attiva, il Comitato per gli Scavi di Stabia, si occuparono di pagare gli operai e sostenere le spese per una prima protezione degli affreschi (FERRARA 2000; NOTOMISTA 2019).