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Sorrento ricorda Saltovar: una serata tra poesia e memoria

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Il 29 novembre
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Sorrento ricorda Saltovar: una serata tra poesia e memoria

di lucio esposito

Venerdì 29 novembre 2024, alle ore 18.00, nella suggestiva cornice della Chiesa del Santo Rosario in Via Tasso a Sorrento, si terrà l’evento “Il Fascino dei Ricordi”, un’occasione speciale per celebrare e ricordare Silvio Salvatore Gargiulo, noto come Saltovar (1868-1944). Poeta, scrittore e mecenate, Saltovar ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura sorrentino-partenopea, e quest’anno ricorre l’80° anniversario della sua morte.

L’incontro, organizzato da Sorrento Officina Culturale con il supporto della Fondazione Sorrento, intende far rivivere l’eredità artistica e culturale di questa figura di spicco, profondamente legata alla sua terra natale. Alla guida di questa immersione nel mondo di Saltovar saranno la dott.ssa Gabriella Cimmino e il prof. Gennaro Galano, accompagnati da altri ospiti che arricchiranno il ricordo con approfondimenti storici e letterari.

L’evento è aperto a tutta la cittadinanza, invitata a partecipare a questo viaggio nel tempo per riscoprire un personaggio che con la sua poesia e il suo mecenatismo ha contribuito a plasmare l’identità culturale di Sorrento.

La serata sarà inoltre un’opportunità per riflettere sull’importanza della memoria storica, in un luogo sacro e simbolico come la Chiesa del Rosario. In un’epoca che tende a dimenticare, “Il Fascino dei Ricordi” si propone come un momento per ritrovare, attraverso le parole e le storie, il valore della cultura e della tradizione.

Non mancheranno interventi di rilievo a cura di enti locali come Mario Gargiulo-Corpus Hippocraticum e Luigi Garbo, per offrire una panoramica completa sull’opera di Saltovar e sul contesto storico in cui visse.

Un appuntamento imperdibile per gli amanti della storia, della letteratura e per tutti coloro che vogliono celebrare una delle figure più affascinanti di Sorrento.

Generico novembre 2024

Riportiamo con piacere pagine a lui dedicate da varie pubblicazioni:

Formiggini, Angelo F. (ed.) Chi È Dizionario Degli Italiani D’oggi [1948]

Gargiulo Silvio Safvatore (Saltovar), intarsiatore e poeta dialcttale, n. a Sorrento (Napoli) il 1° ottòbre 1868 da Giuseppe e da Assunta Montagnaro.

Sorrento (Napoli), corso Roma tr.

Med. d’a. Gran Premio c fuori concorso all’Espos. di Terino, e prem. in molte altre Espos. Ha donato al Museo Corrcale di Sarrento una racc. di Opere Tassiane antiche, una di tarsie sorrentine dal 1800 ul 1936, ed una dì quadri, stampe @ pitture rappres. Sorrento secent. a altre 30 pubbl. poet. e di varietà.

Op.: Il Poeta e l’Ortolano, Napali, 1920; Turquatiello, Sorrento, 1036; Il viazzio di Bacco per la mia terra, ib., 19306, ecc.

Silvio Salvatore Gargiulo    SALTOVAR    INTARSIATORE IN LEGNO ED IN •••R IMA

ANTONINO CUOMO – GIUSEPPINA GALLINARI

Questo libro vuol essere un omaggio ad un uomo cui Sorrento deve tanto. Operatore econorrùco nel campo di quell’artigianato dell’intarsio, ancora, vanto dell’operosità e del senso artistico dei sorrentini;  appresentante del popolo al Comune ed in alcuni Consigli di Amministrazione di Istituzioni artistiche e culturali; poetaescrittoreprolificoalla ricerca di episodi della storia locale; mecenate generoso nel sostenere e nell’incoraggiare ogni iniziativa che servisse a difendere il patrimonio di storia e di tradizioni del  omprensorio, Silvio Salvatore Gargiulo – Saltovar – è vissuto a cavallo del secolo fulcro di vita culturale e propositore di innumerevoli iniziative, di cui Sorrento deve ancora essere grata. La sua morte segnò la fine di un’epoca ed a 50 anni da tale evento queste notizie che possono descriverne la figura ed indicare i  antaggi delle sue iniziative servono a ricordare la figura di un uomo che può essere indicato ad esempio ed a sprone per continuare: un esempio a quanti hanno il dovere della promozione e della tutela di questo immenso patrimonio storico-culturale ed un messaggio ai giovani perché trovino nella vita di Saltovar quell’insegnamento e quella somma di gioie che danno fondamento e scopo alla vita stessa dei singoli. L’Associazione Studi Storici Sorrentini è lieta di aver potuto soddisfare questa esigenza e di dare inizio ad una serie di monografie di personaggi che hanno ricoperto un ruolo nella storia del nostro comprensorio ed il cui insegnamento è ancora vivo, in pochi, ma è necessario venga trasmesso ai molti.

Generico novembre 2024

PREFAZIONE

Nell’ambito del panorama letterario vernacolo, la figura di Silvio

Salvatore Gargiulo troneggia poliedrica e versatile; i tratti della sua

personalità e un’accertata duttilità del suo stile ci inducono a delineare

una sistemazione concettuale, dal punto di vista culturale e sociale,

di un personaggio che ancora oggi a Sorrento fa parlare di sé e che

indubbiamente ha lasciato una traccia riuscendo a rappresentare un

punto di riferimento nel contesto sociale e culturale della penisola sorrentina

tra l’ultimo decennio dell’ottocento e la fine della seconda

guerra mondiale.

Il particolare status del Gargiulo non fu quello di un umanista professionista

legato ad una certa attività didattica, ma fu quello di un

uomo dotato di cultura con interessi umanistici, il cui successo va

ricercato non solo nel dato culturale ma anche nella qualificazione

industriale e civile che lo individua socialmente, in stretta connessione

ma anche indipendentemente dalla sua fisionomia culturale.

La sua versatilità e la sua propensione ad amare la natura e l’ ambiente

domestico nei loro aspetti più suggestivi e accattivanti, a partire

dall’uomo stesso, ce lo rappresentano come un lontano epigono

dell’Umanesimo civile, vissuto nel secolo XX in un lembo di terra

primigenio e tradizionalista, non ancora contaminato dalla civiltà industriale

meccanizzata.

Dal punto di vista socio-antropologico, Saltovar è da accomunare

a quegli intellettuali del XV e XVI secolo che seppero creare una nuova

  • immagine della società, informata a criteri di laicizzazione che si lasciavano

alle spalle la metastoria di una società millenaristica.

Così come avvenne per i succitati intellettuali, anche per il poeta

sorrentino, laicizzazione non vuole indicare una concezione nella quale

la dfr1inità venga misconosciuta, negletta, ma più semplicemente una

visione del mondo politico-economico che afferma lautosufficienza e il

valore autonomo delle attività umane considerate in se stesse, con un

riferimento alla loro funzione in seno alla società e non più in connessione

determinante con una vita futura, extrasocietaria, “eterna”.

Ora il contesto sociale nel quale visse ed operò Saltovar, non era quello

fiorentino o veneziano, dalle mille implicazioni culturali e con una

connotazione socio-psicologica di tipo europeo: era pur sempre il suo

un universo territoriale ristretto nei limiti di una realtà rurale e artigianale,

dai tratti arcaici nella sua fisionomia e nella sua strutt􀂊ra.

Ma fu proprio questa arcaicità di una comunità arretrata che egli,

con la sua produzione umanistica, economica ed intellettuale, seppe innalzare,

nei limiti in cui fu possibile e con strumenti concettuali non

certo universalistici, a livello di società.

Gli antropologi culturali indagano sui nostri modi di vivere, sulla

weltanschauung dei singoli così come della collettività, sui sistemi

dei valori che informano i nostri comportamenti e atteggiamenti.

Ebbene, se prendiamo in considerazione il tipo di messaggio che Saltovar

ci ha tramandato, non possiamo non prendere l’abbrivio dai valori

paesaggistici e dalla necessitante componente culturale di cui il territorio

della penisola sorrentina è dotato abbondantemente e singolarmente.

E su quella realtà, nella quale gli uomini risiedono, vivono, lavorano,

si scambiano le proprie esperienze, si muovono e, soprattutto, si formano,

il Gargiulo ha saputo incidere con cuore sapiente e sensibilità di artista.

Se non si può affatto sottovalutare linfluenza che la componente

paesaggistica ed ambientale esercita su noi stessi, sulla nostra socializzazione,

sul nostro carattere, sulle nostre reazioni, possiamo affermare

che questa realtà ha ispirato sì la vena poetica di Saltovar, ma

soprattutto di quest’ultimo è da mettere in risalto la naturale e versatile

vocazione a fare della propria terra un amabile punto di riferimento

per quanti, italiani, europei, americani, amano riportarsi ai valori

primigeni delle bellezze incontaminate della natura e ad un costume

di vita, di lavoro non alienante come quello delle società industrializzate.

E in quest’ottica di ampliamento della sfera degli interessi culturali

di una determinata comunità, Saltovar fu antesignano e maestro.

Certamente il discorso, con lui iniziato, ha davanti a sé ancora un

cammino da percorrere prima di sfociare in un’analisi globale della

società di riferimento.

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“Si dovranno meglio approfondire i rapporti che dovranno intercorrere

tra una dimensione di tipo ‘comunitaria’ (la Gemeinschaft di

Tonnies) e quella di tipo ‘societaria’ (la Gesellschaft) perché si possano

determinare le migliori condizioni di vita, di interazione tra gli

individui e le istituzioni, di efficienza di queste ultime e, non ultimo,

di ottimale fruizione di questo immenso patrimonio storico-artisticoculturale

che a noi è stato semplicemente offerto in godimento e che

dovremmo essere in grado di trasmettere intatto ai posteri”1•

Chi volesse trovare nella produzione saltovariana elementi di rottura

con il passato e con i vari aspetti della tradizione, o anche soltanto

di dissonanza critica con lambiente sociale, resterebbe deluso.

In sostanza il poeta si muove nei suoi scritti, come nel suo stile di

vita, in perfetta consonanza con le passate vocazioni.

Ciò che di nuovo contraddistingue tutto il condursi della sua esistenza

è un costante sforzo, una sanguigna volontà tesa a far compiere

alla sua città un salto di qualità, perché da elementare comunità

diventi trama culturale capace di suturarsi con il contesto nazionale

e con una società internazionale elitaria.

Il suo grande amore per il Tasso e i suoi frequenti viaggi in Italia

e all’estero ne sono una riprova eloquente.

Non si può affermare tuttavia, che nei cinquanta anni che ci dividono

dalla sua morte, le fortune della penisola sorrentina siano progredite

secondo le sue intenzioni; è da constatare il degrado di un turismo

di massa incolto, distratto e talora dissacrante, cui si accompagnano

un’edilizia selvaggia e di cattivo gusto, il depauperamento di

aranceti e limoneti, il vasto inquinamento del mare antistante.

Siamo ben lontani dal rinverdire gli itinerari tradizionali dei viaggiatori

che nel Settecento e nell’Ottocento si spinsero fino alla punta

della Campanella incontrando chiese, palazzi e monumenti in una

cornice paesaggistica di incomparabile bellezza e che nel riposo e nella

quiete cercavano leco di lontane e felici stagioni di civiltà.

Ma è ben viva oggi la passione volta al recupero, alla salvaguardia

e alla valorizzazione di un patrimonio di arte e di storia di respiro

europeo e mediterraneo: questo messaggio viene raccolto oggi da una

generalizzata consapevolezza dei valori che sono alla base di una cultura

civile che non può oltre restare indifferente alle sorti del territorio.

A lanciarlo, questo messaggio, fu uno scrittore sorgivo e spontaneo

che più di ogni altra cosa amò la terra che gli diede i natali e le tradizioni

che vi si connettono, Silvio Salvatore Gargiulo, detto Saltovar.

G.G.

INTRODUZIONE

Nel necrologio di Giuseppe Gargiulo, I’ avv. Lelio Cappiello, affermò

che se «Sorrento è meritatamente celebrata non solo per le bellezze

di cui natura volle adornarla ma anche per i lavori d’intarsio, che

la tenacia dei suoi figli ha imposto all’ammirazione di tutti e che, per

quanto imitati altrove, non sono stati ancora superati da alcuno» questo

primato artistico è stato conquistato anche per «la ferma volontà

di alcuni suoi figli, che al concetto mercantile del lavoro anteposero

l’amore per l’arte e un ideale di bellezza». E se egli individuò fra questi

«suoi figli» Giuseppe Gargiulo, padre di Silvio Salvatore Gargiulo,

Saltovar, senza timore di esagerare o di attribuire «allori» postumi o

fu.or di luogo, io includo anche quest’ultimo.

E questo è il motivo principale di questo libro!

Ricordare a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, indicare a chi non

sa chi fosse Saltovar, che ha segnato un’epoca ed ha lasciato una scia

nella quale sarebbe opportuno riprendere il cammino per riportare «in

rotta» Sorrento verso la gratitudine a chi ne ha merito e verso un ruolo

dal quale si è purtroppo allontanata.

Qualcuno oggi si porrà la domanda (e può apparire naturale): Chi

è Saltovar?

Questo interrogativo, per la verità, se lo ponevano anche i suoi

contemporanei, quando più vive erano le sue iniziative, le sue opere,

le sue attività per poter rendere necessaria una risposta più dettagliata.

Ero in collegio, impegnato nei miei studi liceali, quando, in occasione

di una delle visite domenicali, mio padre, riferendo quello che era

accaduto a Sorrento durante il periodo successivo alla precedente visita,

comunicò che era morto Saltovar. Io sapevo solo che era il nonno

di alcuni miei amici e compagni di scuola, ma egli mi disse cosa

rappresentava per Sorrento. Con lui finiva un’epoca (in gran parte

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cessata già con la guerra), durante la quale i contratti si stipulavano

con una stretta di mano, l’amore per il proprio paese non era una cosa

rara, il bello era perseguito e conquistato senza falsità e senza secondi

fini. Mi fermai là e non indagai più a fondo! Solo dopo molti anni,

quando iniziai a studiare e a ricercare nella profondità della storia di

Sorrento, condotto per mano e con amore da Manfredi Fasulo (che

meriterà altro approfondimento), cominciai a conoscere Saltovar ed a valutarne ruolo ed importanza. Chi è (non chi «era», perché la sua memoria è ancora viva) Saltovar? Figlio di uno degli artefici dell’affermazione nel mondo della tarsia

e dell’ebanisteria sorrentine, seguì la strada paterna e condusse i lavori

degli artigiani sorrentini a maggiori allori, volendo anche che

quest’arte avesse un museo che fosse testimonianza ai posteri.

Ma non si limitò a ciò: occupò il suo ruolo nella vita pubblica cittadina;

rappresentò Sorrento in iniziative culturali anche fuori delle

mura cittadine; sviluppò il suo mecenatismo promuovendo l’arte e la

storia di Sorrento e del suo figlio più illustre, Torquato Tasso; si dedicò

all’am ed istitu ore verso i deboli ed espresse la sua disponibilità verso enti zioni cui ha lasciato testimonianza di generosità e di bontà. La risposta all’interrogativo posto non è, quindi, univoca; essa dimostrerà

la poliedricità della sua figura di cui questa ricerca è solo una modesta testimonianza.

Certamente non pretendo di essere completo ed esauriente e mi scuso con gli eredi e con quanti amano ricordarlo e conoscerlo! Non è facile recuperare quanto possa interessarlo (e durante lo sviluppo

dei vari capitoli ciò apparirà nella sua realtà)! È più facile un

elenco delle sue opere o scritti, magari anche delle sue poesie, che giungere

a conoscere tutti i momenti della sua vita e sugli sviluppi della

sua azienda, a spiegare alcuni interrogativi che in ricerche del genere pur restano insoluti. In calce ad una foto, Saltovar, aveva scritto «amo la campagna, l’orto, i fiori e … Torquato Tasso». Ma prima che questi amori, apertamente confessati, Saltovar amava la sua famiglia e Sorrento.

I suoi scritti e le sue poesie sono tutti indirizzati verso questi amori!

Tutta la vita di Saltovar ha avuto questo indirizzo, ogni sua azione

si spaziava fra la sua città e la sua famiglia.

A:C:

L’ECONOMIA SORRENTINA TRA ‘800 E ‘900

E L’ATTIVITÀ INDUSTRIALE

DI SILVIO SALVATORE GARGIULO

di Giuseppina Gallinari

“Sorrento, patria del Tasso, conosciuta come la terra delle sirene,

per i suoi giardini ricchi, una volta, di aranci e limoni e per le

sue bellezze descritte nei versi di tante canz.oni, è anche città d’arte.

L’hanno resa tale con il loro certosino e molto spesso oscuro

lavoro quotidiano gli artigiani, che dall’Ottocento fino ad oggi,

hanno dato vita alla tarsia sorrentina con prodotti che, valicando

i confini della penisola, hanno portato il nome di Sorrento

artistica nei luoghi più lontani.

Una fascia sempre maggiore di artigiani si è accostata progressivamente

a quest’arte, per cui alla fine la tarsia, quale manifestazione

artistica di un’intera comunità, si è trasformata in un mezzo

di elevazione sociale e culturale della comunità stessa”1.

L’arte della tarsia a Sorrento si sviluppava coevamente al

movimento turistico e costituiva, insieme all’industria alberghiera

l’asse portante dell’economia sorrentina.

Le origini e i primi maestri della “marqueterie” Antonino

Damora, Luigi Gargiulo, e Michele Grandville; l’influenza degli

scavi vicini di Pompei ed Ercolano e della pittura napoletana

dell’Ottocento; il tipo di intarsio e di mosaico che caratterizzano

i primi anni e i primi lavori, rappresentano la fase primordiale e

di fondazione di una proficua attività artigianale-commerciale

di cui Saltovar intuì subito la grande importanza per il microcosmo

economico della penisola sorrentina.

Per secoli, prima e dopo l’invasione dei Turchi del 1558, cui

Saltovar dedica un poemetto, l’economia della zona fu caratterizzata

da attività essenzialmente agricole e marinare, ma queste già

nell’ottocento non erano più sufficienti a sostenere l’intera esigenza

dell’ econorrùa locale.

Il periodo di splendore per l’e conorrùa sorrentina, lo si può circoscrivere

nell’espansione delle attività connesse con il turismo di

élite, cioè quando Sorrento è entrata per un lungo periodo di tempo,

segnatamente nella seconda metà dell’ottocento e fino alla prima

guerra mondiale, nei circuiti del “grand tour” in Italia.

In altri termini l’economia agricola e quella marinara hanno preceduto

per lungo tempo quella turistica, cui era ed è, connessa la

tarsia, e le prime due venivano originate dall’insularità della penisola

sorrentina.

In un’acuta e succinta analisi storico-politica-economia della penisola

sorrentina così si afferma:

“La penisola sorrentina nell’ambito della provincia di Napoli

costihlisce un’area dotata di alcune specificità che, se non ne fanno

un caso a parte, almeno le conferiscono un’identità particolare rispetto

al resto del territorio provinciale.

Innanzitutto solo da centocinquant’anni è collegata al proprio

più diretto entroterra: per secoli le vie di comunicazione possibili

e convenienti erano state solo quelle del mare, soprattutto

verso Napoli con cui la Città di Sorrento e la sua nobiltà intrattenevano

speciali relazioni.

Ne conseguiva una forma di insularità capace di resistere alla

stessa apertura della strada e al collegamento tranviario del primo

Novecento con Castellammare. Quest’insularità intanto permaneva

anche con il mutare degli assetti stradali, in quanto poggiava su di

una struttura sociale e produttiva non investita dalle trasformazioni

che avevano interessato il resto del territorio provinciale. Essa ha

retto, in effetti, fino a quando c’è stata una classe dirigente locale

autonoma, in grado di assicurare la propria egemonia e di mantenere

il controllo della vita locale, senza particolari conflitti sociali o

politici, per tutto il periodo risorgimentale e postunitario, grazie

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anche alla forza ed all’influenza della Chiesa sorrentina. Una chiesa

di antiche tradizioni, retta da un arcivescovo la cui autorità si

estende tuttora da Vico Equense a Massalubrense e all’isola di Capri,

ricca di beni fondiari e immobiliari, con un clero fortemente

radicato nelle famiglie e nella società, con una tradizione associazionistica

locale di origine controriformista molto solida, con

più di sessanta congreghe, molte delle quali ancora oggi attive.

E per finire, a rafforzare questo legame, con una particolarità rara

nella struttura della chiesa di osservanza romana: in molte importanti

parrocchie i capofamiglia conservano una sorta di diritto di patronato

che consente loro, ancora oggi, di eleggere il parroco.

Anticamente l’egemonia della nobiltà sorrentina si fondava

sul ruolo di fortezza che la città svolgeva come avamposto nel

golfo di Napoli, quando tutto il Regno guardava con apprensione

al mare da cui provenivano invasori e corsari.

Negli ultimi due secoli l’attività cantieristica, armatoriale e

marinara dava, invece, impulso alle colture arboree specializzate

ed alle esportazioni consolidando l’ascesa di una borghesia fondiaria

in stretta connessione d’interessi, da una parte, con notai

e avvocati e, dall’altra, con un ceto emergente di esportatori,

armatori e capitani, spesso una cosa e l’altra insieme.

Questo equilibrio sociale trovava una corrispondenza nell’ assetto

del territorio, salvaguardato dall’interdipendenza tra le due

principali attività economiche: agricoltura e turismo. Infatti sin

dal Settecento la tradizionale coltura a seminativo è completamente

sostituita da colture arboree specializzate, tipiche della

collina litoranea mediterranea: agrumi e noci accanto alle già

diffuse colture dell’olivo, delle viti, del gelso e del fico. Contemporaneamente

Sorrento entra come tappa d’obbligo nel Gran

Tour che i giovani aristocratici e gli intellettuali europei compiono

in Italia. In questo modo i due principali aspetti dell’economia

sorrentina s’integravano senza traumi, contribuendo a

creare l’immagine, un po’ mitica, di oasi incantevole”2•

Una volta rotto l’equilibrio tra agrunùcoltura e le altre attività

economiche della zona, tra cui importante fu quella della

esportazione, lo spirito di intraprendenza e l’iniziativa dei

sorrentini trovava altri sbocchi e questi si mostrarono subito

efficaci e positivi nell’artigianato del legno e della seta.

“I prodotti della lavorazione della seta e quelli dell’intarsio

del legno potevano essere acquistati non solo direttamente nei

laboratori artigiani, ma anche in quelle ricche e magnifiche botteghe,

che esistevano già, intorno alla metà del secolo scorso,

come prime importanti manifestazioni di ùn settore sorto in

stretto rapporto con l’industria turistica e che rappresenta, oggi,

un ramo fondamentale dell’economia sorrentina.

L’acquisto dei “souvenirs”, che davano agli stranieri tornati

in patria occasione di ricordare “i giorni fortunati” trascorsi a

Sorrento, costituiva una delle poche occupazioni della villeggiatura

di oltre un secolo fa, che trascorreva con un andamento

lontano e diverso dal ritmo di certe “ferie” dei giorni nostri”3•

La venuta a Sorrento di Francesco Grandi, la fondazione della

Scuola d’Arte con la collaborazione di Arturo Guidi, diedero alla

tarsia sorrentina quella spinta in avanti che servì a formare

nuovi artigiani e creare nuovi laboratori, dando vita ad una tradizione

che dura ancora oggi.

Tra le più qualificate industrie locali del legno, che abbiamo

già individuato in quelle di Damora e Grandville, si colloca, con

spiccata estroversione artistica ed espansione commerciale l’attività

economica di Saltovar, il quale contribuì non poco alle

fortune turistiche e commerciali della sua città proiettandosi, per

altri aspetti della sua ricca personalità, nella dimensione poetica

che è capace di riflettere suggestioni e motivi inerenti ad un

angolo di civiltà autoctona.

Sinteticamente ed icasticamente è stata descritta la propensione

industriale e l’intuito sociale del poeta: “Gli ultimi anni del

XIX secolo lo videro intensamente impegnato nel lavoro e nello

studio e di tale febbrile attività se ne videro ben presto i frutti

nella espansione dell’azienda, già avviata dal padre «Popeppe»

sotto il nome di Useful things, e nella pubblicazione dei primi

versi, alcuni dei quali, musicati da Antonino De Lizza nei classici

stilemi della canzone napoletana di fine secolo, risultano

ancora oggi validi e godibili. La Useful things, al di là della dimessa

denominazione anglosassone che le attribuiva la vendita di “cose

utili”, rappresentò, in effetti, la prima iniziativa di ampio respiro

nella promozione e commercializzazione dei prodotti tipici dell’ artigianato

sorrentino a livello nazionale ed internazionale.

Questa fortunata impresa di Silvio Salvatore Gargiulo si

avvalse peraltro di alcune favorevoli circostanze: una propizia

congiuntura economica, per cui molte valute, fra le quali anche

la nostra lira, facevano agio sull’oro, e la nascita dell'”industria

delle vacanze” che avviavano per le strade del mondo correnti

sempre crescenti di agiati turisti.

Si concluse, proprio in quegli anni, la stagione dei grandi

viaggiatori solitari dell’ottocento romantico che, insieme a granduchi

ed artisti giramondo, avevano dettato quelle memorie che

crearono la fama di numerose stazioni turistiche del Meridione

d’Italia.

Sorrento era ormai ben nota, anche lontano dai confini del

nuovo Stato unitario, e carovane sempre più folte di turisti la

raggiungevano da ogni parte del mondo, grazie anche all’apertura

di nuove strade ed al progresso dei mezzi di trasporto.

Arrivano gentiluomini e capitani d’industria, uomini d’affari e

gente comune, mercanti e vagabondi, e per tutti Useful things

aveva qualcosa da offrire: dai merletti ai costumi tipici sorrentini,

da sofisticati necessaire intarsiati ai piccoli portagioie, dai

prestigiosi corredi nunziali ricamati ai minuscoli fazzoletti; non

mancavano volumi rari, pastori del settecento e mille cose deliziose

per ogni gusto e borsa.

Particolarmente interessanti erano poi le proposte commerciali

della ditta Gargiulo, che fra l’altro arrivò ad associare la

vendita di scrigni intarsiati per uso filatelico alla lotta contro la

disoccupazione. In proposito, l’ultima pagina della rivista mensile

Sorrento, del 1° maggio 1915, fu interamente dedicata ad una

proposta della Useful things, con la qu􀁕le una ser􀄖e di scrigni P;

filatelisti venivano messi in commercio a prezz1 veramente

iteressanti, allo scopo di offrire lavoro ad operai d1s􀄕ccupati (􀇄o­

minciavano a sentirsi le prime avvisaglie del conflitto_ mondiale):

la vendita, oltre che per contanti, poteva avve􀁖r􀁗 anche

mediante francobolli usati di tutto il mondo e preferibilmente

degli anticlù Stati ltaliani”4•

LA VITA … SCRITTA DAGLI ALTRI

di Antonino Cuomo

Silvio Salvatore Gargiulo ha interrotto il racconto della sua

vita alle soglie della gioventù, quando meno che quindicenne

iniziò l’attività col padre.

Nel 1937 Saltovar fu colpito da una «paraparesi» che lo immobilizzò

nella parte sinistra dell’intera persona (da costringerlo

a muoversi su sedia a rotelle). Avendo cominciato a scrivere

quanto innanzi pubblicato nel 1942, è evidente che, nei due armi

che lo hanno diviso dalla sua fine (4 novembre 1944), non è riuscito

ad aggiungervi altro.

Non è facile ricostruire la vita di Saltovar da quanto è noto a

parenti e da quanto risulta dai dati e dai documenti controllabili

(a parte le pubblicazioni realizzate) e quindi mi sforzerò di coordinare

le notizie raccolte. ·

È il caso di fare una prima precisazione sulle sue generalità:

al n. 160 del registro degli atti di nascita del Comune di Sorrento,

relativo all’anno 1868, sotto la data del due ottobre, ore quindici,

si legge la dichiarazione innanzi al Sindaco, Tommaso

Galano, Ufficiale di Stato Civile, secondo cui «È comparso Giuseppe

Gargiulo di Francesco, di anni trentasei, (se era nato il 29 aprile

1831 dovevano essere trentasette), di professione ebanista,

domiciliato in Sorrento, il quale mi ha presentato un bambino di sesso

maschile, che dichiara di essere nato il primo del mese di ottobre

alle ore diciannove (e quindi non verso mezzanotte, come Saltovar,

afferma nelle sue «memorie») dalla di lui moglie Assunta

Montagnaro di Simone, secolui domiciliata, e nella casa di sua abitazione

posta in questo Comune di Sorrento, al quale figlio dichiara di

dare il nome di Silvio, Salvatore, Antonino Gargiulo».

Di conseguenza il suo nome era Silvio e non Silvio Salvatore:

essendo stata posta la virgola dopo ognuno dei tre nomi imposti

dal padre, il nome vero era limitato solo al primo di essi.

A tanto sono giunto per la curiosità causata dalla circostanza

che in alcuni atti pubblici era costituito solo con il nome «Silvio».

Con il solo nome di Silvio era inserito nell’elenco ufficiale dei

Consiglieri Comunali di Sorrento eletti il 28 luglio 1907 ed il 5

luglio 1914 (mentre in quello successivo del 10 ottobre 1920 è

indicato con i due nomi di Silvio Salvatore) e nel passaporto n.

146, rilasciatogli, per recarsi ad Innsbruch, il 21 luglio 1925. Ma

egli preferiva chiamarsi «Silvio Salvatore» oppure solo «Salvatore

» Gargiulo, meglio ancora Saltovar.

Nel testamento olografo del 17 agosto 1943 egli sottoscrive

«Silvio Salvatore Gargiulo Saltovar», ma, al Cimitero di Sorrento,

nella Cappella di famiglia, è scritto con il solo nome di «Silvio»

(e, per la verità al padre Giuseppe è attribuita la nascita nel 1831

e non nel 1830, come alcuni ancora ritengono).

L’errore dell’uso dei due nomi uniti (il terzo di Antonino non

è stato mai utilizzato, anzi era pressocché sconosciuto alla maggioranza

– per non dire a tutti – dei nipoti) è nato (oltre che,

forse, dalla preferenza dello stesso Saltovar, per affetto allo zio

materno, Don Salvatore Montagnaro) dalla circostanza, non

spiegabile, che, al margine del verbale di «dichiarazione di nascita

», il nome del nato è riportato così: Silvio Salvatore, Antonino

Gargiulo (cioè, la virgola non appare più dopo ogni nome,

ma dopo i primi due).

Trattasi di una curiosità, perché l’unico figlio di sesso maschile

di Giuseppe Gargiulo è ormai noto con il nome di Saltovar!

Ho detto «l’unico figlio di sesso maschile», in quanto lo stesso

Saltovar, ha indicato le quattro sorelle, generate dalla madre,

Assunta Montagnaro. Lo ripeto, solo per completare, che il nostro

personaggio ebbe quattro sorelle, Angelina che sposò con

Armando Toscano, Melania con Emilio di Maio, Adelina con

Giuseppe Rinaldi, Giulia con Alfonso Montefusco.

Siamo rimasti, comunque, con le note autobiografiche a Saltovar,

giovanissimo che, rotti i rapporti del padre con suo nipote Francesco

Gargiulo, ne diventa socio; tutta la famiglia si trasferisce

al Corso Italia (attuale proprietà della nipote Luigia, figlia del

figlio Giuseppe); iniziò ad approfondire gli studi di tarsia e,

giunti al 1889, compone i primi versi. Saltovar, aveva 21 anni!

L’azienda del padre andava a gonfie vele quando entra a

diventarne socio il figlio e tale sviluppo economico continua a

ritmo progressivo. Nel 1886, con atto per notar Salvatore Cacace

del 22 gennaio 1886, Giuseppe e Francesco Gargiulo avevano

liquidato la signora Filomena Palomba, vedova di Francesco

Cuccaro, completando il pagamento dovuto a lei ed ai figli, secondo

le pattuizioni di cui ali’ atto per notar Nicola Stiffa del 22

maggio 1874. Questo può essere prova che, a detta data (1886)

il padre di Saltovar era ancora socio con il nipote.

Comunque la vita del nostro personaggio «cambia» con la

costituzione della società con il padre, ma di questa non ho trovato

alcuna traccia e quindi bisogna procedere per deduzioni

  1. . . a tentoni.

Silvio, Salvatore, Antonino Gargiulo è un uomo poliedrico e

lascia un suo «aspirante» biografo, nel dubbio da dove cominciare:

dal 1889 fino agli ultimi giorni di sua vita è stato poeta;

nel 1899 si sposa – a Bellagio – con Luisa Garganico da cui riceve

tre figli, Giuseppe, Assunta e Teresa; dal 1901 inizia in proprio

un’attività commerciale che lo conduce, fino al 1940, a tenere

in esercizio tre aziende commerciali (di cui una a Napoli

negli anni trenta); nel 1905 affronta la vita politico-amministrativa

al Comune di Sorrento, di cui diventa per alcuni anni (1920-

23) assessore effettivo; negli anni dal 1921 al 1935 collabora, con

scritti di vario genere, a diversi giornali e riviste; la sua attività

di scrittore comincia nel 1905 con alcuni articoli sul «Sorrento,

nella vita, nell’arte, nel lavoro», continua con le note autobiografiche

su Bartolomeo Capasso (1908) e termina nel 1944 con «Gente

nostra»; la sua attività di mecenate è stata intensa e continua,

dagli inizi del secolo fino agli anni successivi alla morte della

moglie che rimpiange con vivo dolore.

La rassegna della vita regionale, italiana, «La Voce delle Regioni

», nel numero 7-8 dell’aprile 1927, giustamente affermava:

«Non sappiamo se la sua attività artistico-industriale superi

quella di scrittore e poeta. Nell’una e nell’altra è sempre presente,

costantemente lo abbiamo trovato nella piena della dedizione

incondizionata. Egli non fa nulla che non abbia la scintilla

dell’arte. Le più triste produzioni della sua «Artis Domus», i più

modesti particolari del suo commercio sono arte e poesia che si

fondono in un solo unico coll’incanto della sua terra natìa».

«Silvio Salvatore Gargiulo ha per la sua Sorrento l’ardore

degli amanti. Quante infinite risorse della sua cultura e del suo

ingegno avrebbe potuto prodigare in favore delle più belle e

variate concenzioni letterarie! No; preferisce essere il poeta della

sua Sorrento. Non ha torto: è già tanto. La perla del golfo non

fu asilo di una schiera di sommi che onorano il mondo? non fu

la sirena per genii come Virgilio, Taine, Wagner, Stazio, SainteBeuve,

Ibsen, Lamartine, Tolstoi, Nietzsche e tanti altri?».

«Ed egli è poeta quando rievoca le vecchie leggende sorrentine

ne «La Grotta del Tesoro»; quando «Negli Orti d’Annida» canta

la feracità della sua terra; quando in «Bartolomeo Capasso a

Sorrento» ripresenta l’ambiente in cui visse; quando offre ai concittadini

caduti per la guerra il suo omaggio di scrittore».

«Poi, a Torquato Tasso egli ha saputo elevare un secondo

monumento. Ha saputo creare il monumento fatto di luce perenne,

fatto di devozione della cittadinanza, fatto di gratitudine

imperitura al sommo Figlio».

«Egli è rimasto un gran fanciullo, dal cuore aperto, dallo

spirito gioviale, sempre pronto ad offrire ogni conforto, ogni

squisitezza che integrano la deliziosa impressione del mare e del

cielo e della terra sorrentina».

Cercherò di cominciare dalla sua vita familiare!

Come ho già detto, il matrimonio si contrasse a Bellagio, sul

manzoniano lago di Como, città natale di Luisa Garganico, anima

gentile che non apprese l’arte del ricamo e dei merletti come

«comune strumento d’un magro guadagno nella sua prima giovinezza,

ma come l’espressione della sua anima»1• E donna

Luigia Garganico trovò nel suo Salvatore l’anima gemella! Era

1 DoN PINuzzo, Elogio funebre del 2 gennaio 1942.

88

una donna che si distingueva per la sua bontà e per le opere di

carità. Da una testimonianza oculare ho appreso che, alla sua

morte, la salma fu composta nell’abitazione al corso Italia fra

fiori, ma, ai suoi piedi, c’era un’anziana donna di Sorrento la

quale, fra le tante beneficate da Donna Luigia, aveva chiesto di

poter restare lì ricambiando la sua generosità con preghiere.

Infatti Ella «con le sue franche doti di modestia e parsimonia

» e don Salvatore «con la sua abilità di cercatore d’ogni cosa

pregevole» portarono quel frutto di amore e di poesia, di lavoro

e di cultura che è stata l’eredità più bella che potevano lasciare

ai loro figli.

E Saltovar, visse quarantadue anni in perfetta comunione con

la moglie, in una armonica simbiosi che dal lavoro sapeva distogliere

il tempo ed i mezzi per dedicarsi al mecenatismo ed

alla carità, a promuovere e sostenere le iniziative culturali,

sovvenire ed aiutare quanti facevano appello al loro cuore.

La sua vena poetica gli ispira dei versi che esprimono la

dolcezza della sposa, la bontà della madre, la compagna fedele

ed affettuosa, quando l a sua «Biggiarella», ancora giovane gli

viene strappata.

In «’o chianto d’a prevala d’uva», il poeta si descrive:

Nfaccio ‘o balcone sto . . .M alinconia

mme sta vicino – n ‘aucelluzzo caro

mme sta tenenno ‘o poco ‘e cumpagnia

[ . . . ]

Penzo: a che penzo? A nu suggetto amaro . . .e sprimendo il

suo dolore:

Chiango ma che nne caccio? sì partuta

pe’ nu paese ch’un se torna cchiù?

Sì l’ultema d’e llacreme è caruta

ncopp’ a stu libbro che mme diste tu?

‘A dint’ ‘o libbro int’o turreno sfuso

sta lacrema s’è ghiuta a pastenà,

‘a Primmavera nu spuzillo nfuso

tutte ‘e rusata certo sguigliarrà.

L’arbero, stu spuzillo, è d’a Speranza

che mme fa pe’ nu piezzo nzecchenì,

nfi no a che d’o Signore int’a ‘na stanza

nzieme cu Essa ‘un mme nne fa saglì! …

[ .. .]

La gioia di Saltovar erano i figli, ai quali, per indiscutibile

tradizione, impose i nomi dei rispettivi ge􀂧tori, 􀄓iuseppe e?

Assunta i propri e Teresa quello della moglie (resto scope􀂨to il

nome del suocero, Apollo, ma vi provvide la figlia, Assunta). Ai loro

matrimoni profuse il meglio di se stesso e delle sue ei:-ergi􀂩.

E proprio Assunta fu la prima a contrarre matrrmoruo: con

Amedeo Iannuzzi, civilmente il 26 dicembre 1925 (all’epoca non

vigeva alcun concor dato fra Stato e Chiesa, onde il matrimonio

religioso non aveva anche validità civile) innanzi al principe

Arturo Stragazzi, Sub-Commissario al Comune di 􀄒orrento

_

ed

il giorno successivo il parroco, don Angelo Montorsi benedisse

quello religioso. . .

Ne «La Patria», periodico romano, del 17 gennaio 1926, si legg􀂪:

«Speme, Beltà, Amore, erano 􀄔 intimissirn􀂫 e dole􀂬 coll􀂭qm?

in quel delizioso paradiso quel giorno perche due giovaru a i:ume

innamorate, in mezzo ad un turbine di fiori e di poesia,

vedevano realizzato il loro sogno d’amore !».

«Al principio della Messa la sorella della sposa, signorina

Teresa, accompagnò con grazia e maestria al violino la v

_

alente

ed esimia professoressa di piano signorina Angelina Gargiulo la

quale fra la commozione degli astanti cantò deliziosamente

l’«Ave Maria» di Gounod».

«All’elevazione, il valoroso violinista prof. Ferdinando

Cordone fece vibrare gli animi di dolce commozione ricamando

sul suo meraviglioso violino le tenere e melanconiche note

dell’«Oh! Salutaris Hostia» del Serao».

«Il giardiniere dell’Albergo Tramontano, si􀂮nor Antoni􀂯

Caputo, al quale fu affidato l’addobbo delle sale, vi profuse tut􀂰

i tesori della sua arte floreale e sposando alle marmoree pareti,

di severo e puto stile greco, le tenerezze del verde, produsse

effetti stupendi e suggestivi».«Dopo la funzione religiosa gli invitati passarono nelle sale

da pranzo, ove fra la più lieta e schietta allegria ed il più vivo

buonumore fu servito un sontuoso banchetto».

«La bella festa si svolse con signorile eleganza mercé la sapiente

direzione del simpatico don Checco Tramontano, figl iuolo 􀄑 ‘illustre

_ :omm. Guglielmo, il quale fu ineffabilmente festeggiato

dagli intervenuti per la veramente splendida organizzazione.

Anche

.

l’elegante e simpatico signor Ercole Ercolano, raggiante

d’entusiasmo, profuse i tesori della sua perizia e della sua attività,

perché tutto avesse buon risultato e vi riuscì completamente».

«Il pranzo fu eccellentemente preparato dal 1° cuoco dell’ Albergo

delle Sirene, signor Saba tino D’ Abenigno».

«Il servizio fu inappuntabilmente diretto dal sig. F. Saverio

Ciampa, coadiuvato dal simpatico suo figliuolo Giacomo».

«L’altare elegantissimo e veramente artistico fu costruito da

Michele Fiorentino, il quale segue con mirabile maestria e degnamente

le tradizionali orme paterne. La sera fu data in ono

􀂱e 􀀏egli 􀂲posi alla grande terrazza dell’ Artis Domus, una proiezion

􀂳 cinematografica dal titolo: “Cirano di Bergerac” nella

quale il ben noto Luigino Di Leva (l’Alessandrino Volta di Sorrei:

  1. to) diede prova del proprio valore e delle proprie qualità di

abile ed esperto elettricista».

E, per quella devozione alla Madonna, che distingueva Saltovar,

in questa occasione, compose un inno alla Madonna della

Consolazione, Madre della Cintura (che si venera sul trono

d􀂬ll’ Altare Maggi?re della Chiesa dell’Annunziata, nella piazzetta

di fronte alla «Artzs Domus» e verso la quale era sempre munifico

benefattore), che fu, poi, musicato dal can. F. S. Fiorentino.

Ed alti:ettanto s

.

ontuoso fu il matrimonio dell’altra figlia, Teresa,

con il dott. Vincenzo Visco, che impegnò i coniugi Gargiulo

e che f􀂴 􀂵elebrato 􀂶ei saloni del Grand Hotel Vittoria (dopo

quella avile presenziata dal Commissario al Comune di Sorrento,

duca Giovanni Maresca di Serra capriola) il 20 novembre dell’anno

successivo.  Intant􀂯 già nel giugno precedente, 1926, era sposato anche il figliuolo

Gmseppe, ingegnere, con la signorina Maria Lillia, figlia di

una sorella di donna Luisa che aveva sposato l’avv. Carlo Lillia.

Ma l’affetto che Saltovar aveva per la moglie, andava oltre la

sua persona, perché si estendeva ai suoceri, nel cui onore, in

occasione delle «nozze d’oro» tributò un omaggio che solo un

animo poetico gli poteva suggerire.

Nella premessa ai versi scritti in onore di Apollo e Teresa

Garganico, li presenta come «due cuori di acciaio purissimo,

solidamente temprati sull’incudine della vita, circonfusi da

un’onda di gioia e da un manto di festosa tenerezza, perché,

davano in quel giorno, fra le carezze e le affettuosità di numerosa

prole, il benvenuto al cinquantesimo anno che veniva a

compiere il Ciclo d’Oro dal loro primo sogno d’affetto e d’amore!

». In un’atmosfera «di gioia e di gioconda sincerità» la cerimonia

era ricca di entusiasmo «sul poggio a picco di Civenna,

la gaia e civettuola cittadina che dalla sua cima aprica, guarda

più la lunga confraternita dei villini e delle bianche e variopinte

casette che si arrampicano e si azzuffano graziosamente alla

rinfusa, sulle sponde turchine del Lazio».

A suggello di questo amore Egli intese onorare la memoria della

moglie con alcune benefiche elargizioni e con alcune donazioni.

Dal suo testamento olografo del 17 agosto 1943 riportiamo: «Avverto

i miei figliuoli che per onorare la santa memoria della loro Madre,

sposa a me adorata, donai il Presepe Settecentesco lillipuziano

con custodia e vetri alla Chiesa del Carmine perché fosse tenuto

esposto in luogo degno e visibile ed un presepe di Scuola Napoletana

al nostro Santo Protettore Antonino. Quest’ultimo deve essere

costruito in modo stabile e tenuto colla massima cura e pulizia».

Ed a «tutori e sorvegliati» di questi due Presepi, nello stesso atto

di ultime volontà, nominava i nipoti Silvio e Carlo Gargiulo,

Peppino Visco e Bigia Iannuzzi.

Saltovar è stato presente e vivo nella vita politica e culturale

di Sorrento, come amministratore pubblico e come scrittore,

poeta e mecenate.

Nel 1905 sorse a Sorrento, per iniziativa di alcuni appassionati

(ma evidentemente sostenuta da lui) un periodico intitolato

«Sorrento, nella vita, nell’arte, nel lavoro» ed egli ne profitta subito

per annunziare la sua candidatura alle imminenti elezioni

per il Consiglio Comunale, formando una lista per il «Partito

92

Indipendente Sorrentino», insieme all’ammiraglio Augusto

Viterbo, al maestro Antonino Ciro De Lizza ed al commerciante

Baldassare Gargiulo. Era una lista di rottura e di protesta (il

periodico aveva il suo redattore capo indicato con l’appellativo

di «D’ Artagnan» ), sorta «in vista dello stato deplorevolissimo in

cui è ridotto il Paese ed augurandosi un prossimo risorgimento

morale e materiale di Esso». Ma non vi fu for tuna e nessuno dei

cittadini fu eletto!

Miglior fortuna si ebbe nelle elezioni del 28 luglio 1907, nelle

quali (insieme all’ammiraglio Viterbo) fu eletto con 318 voti (il sistema

elettorale era maggioritario, non proporzionale con voti di

lista), tra i primi (il primo riportò 323 voti e l’ultimo 242). Ma il

2 febbraio 1909 Saltovar già si dimetteva dalla cari ca! Le motivazioni

di tali dimissioni erano indicate nelle «esigenze dei suoi

affari commerciali», ma evidentemente dovette sorgere motivo

di lite con il Comune se il consigliere Camillo Spasiano chiedeva

se le dimessioni nascondessero condizioni di decadenza (già

rilevate per il consigliere Ermanno Damora fu Antonino) e del

consigliere Francesco Pica nella votazione, che accolse le dimissioni,

espresse voto contrario «ritenendo che debbasi piuttosto considerare

il Gargiulo decaduto dal suo ufficio di Consigliere».

Anche la candidatura successiva fu coronata da successo, in

quanto nelle elezioni del 5 luglio 1914 fu eletto con 687 voti (fra il

primo che riportò 821 voti e l’ultimo che ne ebbe attribuiti 642). Ed

anche questa elezione ebbe durata breve, anzi brevissima, ma per

ben altro motivo. Dieci consiglieri della minoranza (ing. Alessanm:o

Rubinacà, Ernesto Damora, Camillo Spasiano, Gaetano Vespoli,

Gmseppe Cerulli, Salvatore Fiorentino, Teodoro Iacolo, Silvio

Gargiulo, Antonino De Lizza e Luigi Cappiello), il 16 novembre

1914, inviarono al Sindaco una lettera, con la quale rassegnavano

co mpatti le loro dimissioni, «poiché, quantunque rappresenta nti un

terzo dei voti nel Consiglio, si sono visti, sempre e per sistema,

sopraffa tti, sia nelle discussioni che nelle votazioni» e per il suddetto

motivo, «a non prolungare e ad accrescere le responsabilità

di fronte agli elettori ed al paese in tale stato di cose» prefe

rivano rimettere il mandato, anche perché non era stata inviata

la copia del Bilancio, «che pure era stata chiesta e promessa ».

Ovviamente i consiglieri presenti, su proposta dello stesso

sindaco, avv. Lelio Cappiello, respingevano le dimissioni della

minoranza. Evidentemente, si dovettero intavolare trattative e

discussioni, perché dalla seduta del 22 dicembre 1914 si giunse

a quella del 7 febbraio 1915, nella quale a seguito di insistenza

dei dimissionari, fu preso atto della loro volontà.

Qualificante impegno nella vita pubblica sorrentina, profuse

Saltovar nella terza elezione al Consiglio Comunale!

Infatti eletto il 10 ottobre 1920, con 924 voti (fra i 1089 del

primo eletto ed i 658 dell’ultimo), nella seduta di insediamento

del 25 ottobre fu nominato assessore effettivo e, successivamente,

il 1 7 ottobre 1921 a seguito delle dimissioni del Sindaco e

della Giunta, fu riconfermato e divenne assessore anziano.

L’incarico assessoriale durò, sotto la guida del Sindaco, avv.

Lelio Cappiello, fino allo scioglimento dell’intero Consiglio Comunale,

per ordine del Prefetto, avvenuto, con anticipo sul termine

legale, nell’agosto del 1923 e durante il suddetto periodo

si dimostrò attivo e generoso nel compito affidatogli dal sindaco

medesimo.

La delega conferitagli (nella seduta della Giunta Municipale del

6 Novembre 1920) al corso pubblico, acqua e pubblica illuminazione,

fu modificata in occasione del rinnovo della Giunta (l’anno successivo)

in «Acqua e Mercato»). Infine, a seguito di sua richiesta,

nella seduta del 26 settembre 1922, la delega fu limitata al solo problema

dell’acqua che egli affrontò con entusiasmo ed energia.

Il rifornimento idrico per la città di Sorrento era di una rilevante

gravità (per la verità lo è stato fino ad alcuni anni dopo

la seconda guerra mondiale, allorché si è potuto usufruire degli

impianti posti in essere dal Consorzio Acquedotto per la

Penisola Sorrentina con il prelievo dalle sorgenti della Fontana

Grande in Castellammare di Stabia) e l’assessore Silvio Gargiulo

non ha mai cessato di profondere le sue energie ed iniziative (a

volte anche con mezzi propri). La fonte principale per l’approvvigionamento

idrico erano i Valloni Prossimo e dei Muli-ni (sui

quali, nel settembre 1931, scrisse alcuni «cenni storici» molto

interessanti riuniti ne «Le sorgenti sorrentine». Saltovar partì dalla

relazione dell’ing. Paolo Mastellone, redatta nel marzo 1920,

sulle sorgenti di Prossimo e dei Mulini, per tracciare un programma

che prevedesse di allacciare tutte le sorgenti esistenti

a monte della città conducendo le acque negli antichi cistemoni

romani e di qui al paese.

La prima cosa che perfezionò fu l’impianto di sollevamento

delle acque dai suddetti valloni, ma siccome il quantitativo del

prezioso liquido ancora non era sufficiente, fece approvare dalla

Giunta Municipale, nella seduta del 31 maggio 1923 (con i

poteri del Consiglio), l’esecuzione di lavori di trivellazione nel

Vallone dei Mulini, in quanto da altra relazione dell’ing. Felice

Gargiulo si era formato il convincimento che dalla perforazione

si potesse ottenere una notevole quantità di acqua potabile

(ancora oggi si usufruisce di questa fonte, con acqua che, anche

se non perfettamente pura, viene utilizzata per usi non alimentari).

Ma purtroppo, per difficoltà «burocratiche» quella

trivellazione dovette essere rinviata.

Intanto l’assessore Gargiulo aveva preso un’altra iniziativa in

quanto, anche trovando le acque nei suddetti valloni, restava

alto il costo del suo sollevamento e vive le difficoltà per la distribuzione

nella parte alta della città, stante la natura orografica

di Sorrento.

Nacque l’idea, prodotta anche dalla necessità, di cercare delle

sorgenti «a monte», onde avere il naturale fluire delle acque

verso l’abitato, oltre che aumentarne il volume.

Per tali motivi Saltovar iniziò, ed a sue spese, le ricerche invitando

la rabdomante Augusta del Pio Luogo, che aveva scoperto

«la strana sensibilità del suo apparato nervoso in presenza

dell’acqua in movimento» nel 1908 allorché era

occasionalmente presente a delle analoghe ricerche di un vecchio

rabdomante2•

L’assessore Gargiulo, unitamente all’assessore supplente, suo

collaboratore nel ramo, Giovanni Coppola, assistette personalmente

alle ricerche, conducendo la rabdomante ad esplorare le

parti collinose di Sorrento.

2 la Sorpresa, 1922, I, 6, pag. 1.

96

E fu presso l’antico fabbricato Sersale, alla Festola, contrada

fra Cesarano e Baranica, che la rabdomante avvertì la presenza

di una forte corrente d’acqua che, poi, fu trovata a 25 metri di

profondità.

Durante la sua presenza in Consiglio Comunale, dal novembre

1920 all’agosto 1923, anche quando, quale Assessore Anziano

ebbe l’occasione di presiedere alcune sedute consiliari, svolse

sempre un ruolo di pacificazione fra gli animi che, come sempre,

non brillavano per disinteresse, e costante fu lo stimolo di

operare per promuovere il futuro di Sorrento attraverso lo sviluppo

della cultura.

La disponibilità di Saltovar a determinate iniziative, oltre che

per il suo spirito liberale ed amante del suo paese, era anche

favorita dalla posizione economica che gli derivava dalla

floridezza della sua azienda.

Egli stesso, nel raccontare le vicende della sua famiglia, ha

riconos􀂌iuto che gli affari andavano bene perché l’artigianato

sorrentino, nella seconda metà dell’800, tirava molto favorevolmente.

Ed ovviamente altrettanto doveva verificarsi allorché

l’azienda diventò sua.

Giuseppe Gargiulo, il padre di Silvio Salvatore Gargiulo,

morì nel 1912, ma già prima l’azienda era diventata interamente

di quest’ultimo; infa tti «Pupeppo» per gli ultimi tredici anni

di vita si era dedicato solo al famoso «necessaire» che, poi, il figlio

donava al Museo Correale insieme a tanti altri esemplari dell’arte sorrentina.

Con scrittura del 24 settembre 1901 fu proprio Silvio Salvatore

Gargiulo a prendere in locazione, dalla signora Vincenza

Scaramellino ved. Cozzolino, «due magazzini con retrobottega

comurucanti fra loro» m piazza Tasso, in angolo con via Duomo

(attuale Corso Italia) con decorrenza dal primo novembre e

per otto anni.

In questi locali nacque la «Useful Things» di Salvatore

Gargiulo che vendeva i propri prodotti in legno, «Kodak films,

􀂐nghsh books, water colour of the best italian artists». Infatti,

Il catalogo, intitolato «Labor» (pubblicato semestralmente) nella

sua prima edizione del primo gennaio 1906, nel descrivere gli

LE CINQUECENTINE DELLA BIBLIOTECA DEL MUSEO CORREALE  a cura di Mario Russo

alla memoria di

Silvio Salvatore Gargiulo

SALTOVAR

La Biblioteca del Museo Correale di Sonento, istituita dal 1918, è costituita da circa

6.000 volumi ed opuscoli, oltre 400 manoscritti, un cospicuo numero di cinquecentine e

seicentine ed una ricca raccolta di edizioni tassiane a partire dal Cinquecento, con traduzioni

del poema in lingua straniera e in alcuni dialetti italiani.

Benemeriti artefici della costituzione del Fondo librario furono principalmente Manfredi

Fasulo, Silvio Salvatore Gargiulo (Saltovar), Mariano Vervena.

L’amore per la sua città e in particolare per il poeta Torquato Tasso, dimostrata da Saltovar

in ogni occasione e in tutte le manifestazioni che organizzava, come in molti dei suoi scritti,

lo avevano indotto ad appore un cartello nel suo emporio di piazza Tasso ‘Useful things’ con

l’annuncio che la sua ditta comprava “qualsiasi libro antico, manoscritti ed autobiografici,

anche di gran valore”: ciò spiega da una parte la presenza tra i libri donati al Museo di un

cospicuo numero di opere dei Tasso, padre e fig lio, e dall ‘altra il suo profondo interesse per il

libro antico, di qualsiasi genere, che in molti casi faceva accuratamente restaurare: valga ad

esempio la monumentale edizione veneziana del 1578 di Dante con il commento di Cristoforo

Landino. Anche il fondo delle seicentine del Museo (ca. 80) è per buona parte costituito

da sue donazioni.

Ben 31 volumi

LA TERRA DELLE SIRENE

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA

di Anna Fiorentino

Silvio Salvatore Antonino Gargiulo, ovvero Saltovar, è stato un protagonista

della vita culturale sonentina a cavallo tra Ottocento e Novecento, un

poeta-mecenate della nostra tena, ignoto alle ultime generazioni ma che la

ri scoperta e la valorizzazione della storia culturale sorrentina sta facendo

riemergere. Saltovar (pseudonimo che lui stesso si diede anagrammando il suo

secondo nome) donò di sè ogni bene con generosità, creatività e laboriosità a

una Sorrento amata fin dalla più tenera età.

C’è chi lo ritiene un mero verseggiatore, chi lo elogia come poeta, un

istintivo e dignitoso poeta che scriveva i suoi versi con autentica ispirazione,

quella che proveniva da un cuore fatto di sentimenti puri per la sua tena.

Saltovar era dotato di un notevole talento artistico e di uno spirito alquanto

imprenditoriale per l ‘epoca. Ha cantato ed esaltato le bellezze e le tradizioni

di Sorrento in un’enorme produzione poetica, ma è stato anche promotore

delle attività artigianali e commerciali nel campo della tarsia, definendosi lui

stesso “intarsiatore in legno e in rima”.

Sintesi e voce della sua adorata Sorrento , Saltovar vi nacque nel 1868 e vi

morì nel 1944. Suo padre era Giuseppe Gargiulo detto Pupeppe, un artigiano

intarsiatore che, nella seconda metà dell’Ottocento, fece conoscere la tarsia

sorrentina per il mondo insieme ad altri valenti artigiani. Aveva un

laboratorio in Via San Cesareo e uno in Via Tasso dove lavoravano ottimi

ebanisti e intarsiatori . Saltovar lo definisce “gran buon’ ommo, semprece e

mudesto” nella poesia a lui dedicata ‘O Ritratto ‘e patremo Giuseppe.

In quell’ambiente il Nostro si formò come intarsiatore, ma sviluppò anche

la sua attitudine verso gli studi umanistici grazie a uno zio prete, Don

Salvatore, un erudito che frequentava gente del mondo letterario e scientifico .

A quindici anni divenne socio della bottega col padre, in seguito ampliò

l’attività aprendo nel 1901 il negozio “Useful Things” in Piazza Tas so, primo

esempio di commercio nazionale e internazionale di prodotti artigianal i, in u􀁩

momento favorevole per la lira e per “l’industria delle vacanze”. Era 11

negozio più bello di Sorrento, frequentato da personaggi famosi, esportava in

tutto il mondo e poteva vantare un numero immenso di clienti (un Natale

furono spediti più di diecimila biglietti d’auguri!). Ve ndeva merletti, costumi

tipici, fazzoletti, corredi, pastori del Settecento, portagioie e altri oggetti

intarsiati, ed era anche libreria. Nel 1916 divenne sede dell’ Unione

Sorrentina per la lavorazione artistica del legno, fondata dallo stesso Saltovar.

Tra i suoi innumerevoli impegni Saltovar non mancò di assumersi cariche

amministrative: fu più volte consigliere comunale, assessore e nei primi anni

Ve nti anche vicesindaco. S’iscrisse al Partito Fascista e fondò una Biblioteca

Popolare Fascista. Ma era più che altro un nazionalista, un fervido amante

della Patria che realizzò finanche delle penne d’ ulivo con la scritta “Viva

l’Italia”.

Alla fine del 1929 con la crisi economica l’attività commerciale subì una

contrazione delle vendite. Nel 1937 iniziò un periodo difficile e con la

seconda guerra mondiale ci fu un blocco del flusso turistico anglo-americano

che era la maggior fonte di guadagno.

Saltovar fu poi colpito da un’emiparesi sinistra. Nella deambulazione si

aiutava con sedie-bastone da lui stesso ideate e in casa utilizzava un

ascensore (il primo in penisola) . Quando morì la società sorrentina rimase

priva di una personalità ricca, dinamica e complessa che spiccava nel

panorama culturale di allora.

Saltovar visse come se l’arte fosse vita e la vita stessa un’opera d’arte,

com’era ricorrente tra gli intellettuali del periodo decadente. Ma lui sapeva

intimamente che perchè ciò si realizzi non bisogna mai diventare grandi e

perciò restò sempre un po’ fan ciullo nel suo animo, sempre pronto a stupirsi,

entusiasmarsi, eternamente incantato e rapito di fronte a ogni bel richiamo del

mondo e della sua tena . Inequieto e amante del bello, esteta ed edonista,

uomo d’azione, eclettico e piccato da forte curiosità, Saltovar spaziava in

innumerevoli campi con suoi interessi: possedeva animali, collezionava

francobolli, monete, libri, oggetti d’antiquariato, era appassionato di piante e

della natura tutta, delle tradizioni, della cucina e delle belle donne, insomma

della bellezza nel senso più ampio del termine. Era un “bon vivant”, amante

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA 67

del buon vivere, della buona compagnia, dei piaceri della tavola, della vita in

senso assoluto. Viaggiò molto e partecipò a numerose mostre commerciali e

artistiche in giro per l’Italia e in Europa a partire dal 1925 . Nel 1 93 1 andò in

crociera in Marocco e Algeria, nel 1 929 si recò in Palestina, Egitto, Libano,

Turchia, Grecia, alla fine del 1936 fu di nuovo in Palestina.

Pubblicava i suoi resoconti di viaggio su periodici e riviste, insieme a

svariati scritti e innumerevoli poesie. Scrisse molti articoli per i l “San

Carlino”, il “Roma”, “Il Mattino”, “La Sorpresa”, il “Roma della Domenica”,

“La Voce di Sant’ Antonino Abate”. Alcune riviste furono fondate da lui

stesso, come il mensile “Sorrento”, ” ‘O Friccicariello”, la rivista illustrata

“Minerva Sorrentina”.

Saltovar non si limitò a offrire poesie e scritti alla sua terra, donò anche

dei veri e propri tesori, oggetti di grande valore storico e artistico, oltre a

prodigarsi in beneficenze a favore di chiese, enti, istituzioni, musei. L’elenco

delle sue donazioni è lungo e assortito. Per adornare le vie cittadine del centro

e dei borghi periferici donò lapidi marmoree con brani della Gerusalemme

Liberata e versi del Tasso. Negli anni Venti aprì due refettori nell’Ospizio di

  1. Antonio e donò uno scudo intarsiato al Priorato del Convento di S. Onofrio

a Roma per la tomba del Tasso, nel ’28 fece rifare la volta della cappella della

Congrega del SS. Sacramento della Cattedrale di cui era presidente, vi aprì

tre finestroni, fece decorare con stucchi pareti e volte. Regalò un’opera

intarsiata alla Federazione Fascista della Stampa dell’ Urbe, una deposizione

del Cristo alla Chiesa dell’Addolorata. Offrì contributi vari alla Chiesa

dell’Annunziata, fece offerte per l’Ospedale Civile, pagò un canone fisso per

la Chiesa di S . Attanasio a Priora. Nel 1930 restaurò la Basilica di S.

Antonino e in seguito alcune sue tele e lampadari, inoltre nel 1 9 3 1 le donò un

artistico presepe ispirato al Settecento napoletano con scorci dell’antica

Sorrento e 1 1 8 pastori, alcuni del Sammartino. Fece anche donazioni per il

Museo Correale, trasferendovi parte delle sue raccolte private: opere di

Bernardo e Torquato Tasso, mobili e intarsi sonentini, dipinti, busti,

iscrizioni romane, utensili greci e romani, pubblicazioni su Sorrento e

Napoli, opere in latino, francese e inglese, merletti, sue canzoni. Nel ’33 fece

riparare le scale e le balaustre della Cattedrale. Nel ’38 regalò una tela alla

chiesa dei Servi di Maria. Nel ’41 donò lana per i soldati. Nel ’43 fece varie

offerte per i combattenti. Nel ’42 offrì svariati doni alla chiesa del Carmine.

Anche da simili gesti si evince quanto fosse profondo l’amore che

Saltovar nutriva per la sua terra . Tanta prodigalità gli era permessa

dall’ agiatezza in cui viveva. Il Nostro era infatti proprietario non solo di

negozi e di numerosi fabbricati ma anche di terreni e di case che furono

luoghi d’ispirazione per i suoi componimenti. I suoi terreni erano sparsi tra

Capodimonte, Rivezzolo , Villazzano, la Tonnarella e Sorrento . La sua casa

più famosa fu l’ Artis Domus, dove Saltovar accolse i suoi ospiti più illustri e

allestì una sorta di museo privato. Era in stile neoclassico con fregi grecoromani

e pitture parietali che riproducevano decorazioni pompeiane, episodi

classici e del Tasso eseguiti nel 1926 dal noto pittore sorrentino Antonino

Fiorentino, che collaborò tra l’altro per affrescare l’altra casa sul Corso e

illustrare le sue raccolte poetiche.

Oltre alle due case site in Via Fuoro e sul Corso e alla Badia a

Capodimonte, Saltovar possedeva quella che lui chiamava “La Capanna del

Sole”, che fece costruire nella sua proprietà· di Capodimonte . Era il suo

“pensatoio di campagna”, una casetta in legno di 30 metri quadri immersa

nella natura, dove ospitava gli amici per godere con loro l’amatissima vita

campagnola, gustare le verdure dell’orto e bere un buon bicchiere di vino. A

ogni casa-laboratorio Saltovar dava un nome: “L’Eremo dei Fiori”, “L’Eremo

Azzurro”, “TI Convento dei Fiori”, tutti nomi che sottolineavano la loro

agreste bellezza. Erano luoghi d’ ispirazione per le sue poesie e in alcune

composizioni ne parla con moto d’ affetto e devozione:

Casa ‘e campagna tennera

delizia ‘e chisto core,

profumo d’ ogne sciore:

sito ‘e sincerità.

(Casarella ‘e Campagna, vv. 1-4)

In altri versi ricorda invece il terrazzo fiorito e profumato della sua casa

di Sorrento :

Che bella loggia, bbeneditto Dio!

che me vulette fa stu cumplimento;

sta luggetella è tutto ‘o core mio

e n’ata ‘e chesta ‘un c’è dinto Surriento.

(‘A luggetella mia, vv. 1-4)

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TER RA 69

Già da questi pochi righi s’intuisce l’animo estremamente sensibile del

Nostro verso il paesaggio naturale , sua costante ispirazione. Ma scriveva di

getto su molteplici argomenti di storia e cultura locale, sia poesie che

racconti, canzoni e articoli, e li pubblicava sulle già menzionate riviste

oppure in raccolte personali, insieme ai suoi resoconti di viaggi . Iniziò nel

1920 con le poesie dialettali Pazzarie , nel ’21 uscì Storia del Museo

Correale, l’anno dopo Negli Orti di Annida e un opuscolo su Bartolommeo

Capasso a Sorrento . Nel 1929 pubblicò Il Poeta e l’Ortolano, l’opera più

voluminosa: ben 400 pagine di poesie e canzoni, nel ‘ 3 1 In Te rra Santa e Le

Sorgenti Sorrentine, nel ‘ 32 ‘A Vita ‘e Sant’Andulino Abate, nel ’37 due

bozzetti popolari: Stefano ‘o Purpaiuolo e Saverio ‘o Palummo, nel ’39 ‘A

luggetella mia e Sursum Corda, nel ’40 Casarella ‘ncampagna, nel ‘ 41

Poemetti, La Fava e il Cavolo, Filumena ‘a Scagliuzzara, nel ’42

Ricurdannete, opuscolo in versi in ricordo della moglie defunta, e due

Schizzetti sul suo infermiere e il cocchiere, nel ’43 Ritratti di penna, profili

poetici di amici e conoscenti, nel ’44 la seconda serie dei ritratti di penna

Gente Nostra , poi un inno e infine una nota sul Fonte Battesimale della

Cattedrale.

Cotante pubblicazioni parlano di una ricchezza ispirativa non comune,

una rigogliosa e fe rvida attività intellettuale , una per sonalità che si nutriva

prevalentemente dell’ amore sviscerato per la sua vita e il suo paese. Saltovar

amava tutto di Sorrento , la sua cultura, i suoi paesaggi, le sue tradizioni. E

amava il Tasso, una costante della sua esistenza, un motivo forte di orgogl io,

il riferimento massimo per la sua scrittura poetica. Suo grande ammiratore , lo

leggeva, lo studiava, lo venerava, lo chiamava ” ‘O Rre d’ ‘e surrentine”. Nel

’36 scrisse un poemetto a lui dedicato, Turquatiello, nel ’22 fondò insieme ad

altri l’Università Tassiana (che divenne poi Istituto Tas siano) per promuovere

la divulgazione delle opere del Tasso e di altri scrittori . Dal ’33 al ’35

l’Istituto Tassiano patrocinò diverse manifestazioni commemorative, nel ’33

fece anche rappresentare il poema pastorale Aminta al Campo Sportivo. Nel

’34 Saltovar chiese al Ministero . dell’Educazione un autografo del Tasso

appartenente alla Biblioteca Nazionale di Napoli, la richiesta fu accolta e

arrivò al Museo Correale una lettera autografa del Ta sso del 1589.

Saltovar diceva “Amo la campagna, l’orto, i fiori e To rquato Ta sso”. La

campagna, gli orti e i giardini , i loro colori, profumi e personaggi, la natura

e le tradizioni sorrentine, con le sue piccole e semplici cose, sono i punti

Saltovar nutriva per la sua terra . Tanta prodigalità gli era permessa

dall’ agiatezza in cui viveva. Il Nostro era infatti proprietario non solo di

negozi e di numerosi fabbricati ma anche di terreni e di case che furono

luoghi d’ispirazione per i suoi componimenti. I suoi terreni erano sparsi tra

Capodimonte, Rivezzolo , Villazzano, la Tonnarella e Sorrento . La sua casa

più famosa fu l’ Artis Domus, dove Saltovar accolse i suoi ospiti più illustri e

allestì una sorta di museo privato. Era in stile neoclassico con fregi grecoromani

e pitture parietali che riproducevano decorazioni pompeiane, episodi

classici e del Tasso eseguiti nel 1926 dal noto pittore sorrentino Antonino

Fiorentino, che collaborò tra l’altro per affrescare l’altra casa sul Corso e

illustrare le sue raccolte poetiche.

Oltre alle due case site in Via Fuoro e sul Corso e alla Badia a

Capodimonte, Saltovar possedeva quella che lui chiamava “La Capanna del

Sole”, che fece costruire nella sua proprietà· di Capodimonte . Era il suo

“pensatoio di campagna”, una casetta in legno di 30 metri quadri immersa

nella natura, dove ospitava gli amici per godere con loro l’amatissima vita

campagnola, gustare le verdure dell’orto e bere un buon bicchiere di vino. A

ogni casa-laboratorio Saltovar dava un nome: “L’Eremo dei Fiori”, “L’Eremo

Azzurro”, “TI Convento dei Fiori”, tutti nomi che sottolineavano la loro

agreste bellezza. Erano luoghi d’ ispirazione per le sue poesie e in alcune

composizioni ne parla con moto d’ affetto e devozione:

Casa ‘e campagna tennera

delizia ‘e chisto core,

profumo d’ ogne sciore:

sito ‘e sincerità.

(Casarella ‘e Campagna, vv. 1-4)

In altri versi ricorda invece il terrazzo fiorito e profumato della sua casa

di Sorrento :

Che bella loggia, bbeneditto Dio!

che me vulette fa stu cumplimento;

sta luggetella è tutto ‘o core mio

e n’ata ‘e chesta ‘un c’è dinto Surriento.

(‘A luggetella mia, vv. 1-4)

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TER RA 69

Già da questi pochi righi s’intuisce l’animo estremamente sensibile del

Nostro verso il paesaggio naturale , sua costante ispirazione. Ma scriveva di

getto su molteplici argomenti di storia e cultura locale, sia poesie che

racconti, canzoni e articoli, e li pubblicava sulle già menzionate riviste

oppure in raccolte personali, insieme ai suoi resoconti di viaggi . Iniziò nel

1920 con le poesie dialettali Pazzarie , nel ’21 uscì Storia del Museo

Correale, l’anno dopo Negli Orti di Annida e un opuscolo su Bartolommeo

Capasso a Sorrento . Nel 1929 pubblicò Il Poeta e l’Ortolano, l’opera più

voluminosa: ben 400 pagine di poesie e canzoni, nel ‘ 3 1 In Te rra Santa e Le

Sorgenti Sorrentine, nel ‘ 32 ‘A Vita ‘e Sant’Andulino Abate, nel ’37 due

bozzetti popolari: Stefano ‘o Purpaiuolo e Saverio ‘o Palummo, nel ’39 ‘A

luggetella mia e Sursum Corda, nel ’40 Casarella ‘ncampagna, nel ‘ 41

Poemetti, La Fava e il Cavolo, Filumena ‘a Scagliuzzara, nel ’42

Ricurdannete, opuscolo in versi in ricordo della moglie defunta, e due

Schizzetti sul suo infermiere e il cocchiere, nel ’43 Ritratti di penna, profili

poetici di amici e conoscenti, nel ’44 la seconda serie dei ritratti di penna

Gente Nostra , poi un inno e infine una nota sul Fonte Battesimale della

Cattedrale.

Cotante pubblicazioni parlano di una ricchezza ispirativa non comune,

una rigogliosa e fe rvida attività intellettuale , una per sonalità che si nutriva

prevalentemente dell’ amore sviscerato per la sua vita e il suo paese. Saltovar

amava tutto di Sorrento , la sua cultura, i suoi paesaggi, le sue tradizioni. E

amava il Tasso, una costante della sua esistenza, un motivo forte di orgogl io,

il riferimento massimo per la sua scrittura poetica. Suo grande ammiratore , lo

leggeva, lo studiava, lo venerava, lo chiamava ” ‘O Rre d’ ‘e surrentine”. Nel

’36 scrisse un poemetto a lui dedicato, Turquatiello, nel ’22 fondò insieme ad

altri l’Università Tassiana (che divenne poi Istituto Tas siano) per promuovere

la divulgazione delle opere del Tasso e di altri scrittori . Dal ’33 al ’35

l’Istituto Tassiano patrocinò diverse manifestazioni commemorative, nel ’33

fece anche rappresentare il poema pastorale Aminta al Campo Sportivo. Nel

’34 Saltovar chiese al Ministero . dell’Educazione un autografo del Tasso

appartenente alla Biblioteca Nazionale di Napoli, la richiesta fu accolta e

arrivò al Museo Correale una lettera autografa del Ta sso del 1589.

Saltovar diceva “Amo la campagna, l’orto, i fiori e To rquato Ta sso”. La

campagna, gli orti e i giardini , i loro colori, profumi e personaggi, la natura

e le tradizioni sorrentine, con le sue piccole e semplici cose, sono i punti

70 ANNA FIORENTJNO

focali della sua esistenza e della sua scrittura poetica, la sua costante fonte

d’ ispirazione. I primi versi Saltovar l i scrisse in l ingua nel 1889 a mo’ di

esercizio letterario, nelle successive poesie in vernacolo è invece evidente la

sua maniera alquanto elementare, spontanea e diretta di usare sentimenti e

linguaggio. Nei suoi bucolici tableaux si respira una tenerezza che dal cuore

del poeta arriva al cuore del lettore, il tutto in un contesto popolano,

espressione di un ideale di vita agreste e genuina.

Le poesie di Saltovar sono la manifestazione lirica delle sue riflessioni e

sensazioni immediate, lo specchio dei suoi stati d’ animo e delle sue ingenue

emozioni di fronte all’ anelito fresco e vitale della sua teITa, spesso ricoperti

da un velo di nostalgia, come se vedesse già perdersi nel tempo la sua

Sorrento, ne intuisse il declino e ne avvertisse il guasto delle bellezze:

Addò stanno cchiù li tiempe

d’ ‘o fiuccaglio e d’ ‘ a spatella?

Addò stanno ‘e sserenate,

‘e tammorre e ‘ a tarantella?

(Tiempe ‘e na vota, vv. 1 -4)

Ai momenti di malinconica nostalgia la sua spiccata vitalità

contrapponeva però la speranza:

‘ A speranza è ‘na catena

ca non pesa e non fa male

e c’ ‘ a dint’ ‘o cannucchiale

rose e sciure fa vedè.

(Margaretella, vv. 1 -4)

Oltre che nel popolo e nelle tradizioni Saltovar intingeva la penna anche

nella sua religiosità, domestica e turale, sentimentale e folkloristica, intima e

commossa, di cui ricordava i rituali e le devozioni con un linguaggio vivace

e colorito che diventava retorico e ricercato, a volte magniloquente nelle

composizioni in lingua. Numerosi versi sono dedicati alla Madonna e a S .

Anton ino, d i cui Saltovar era un fervente devoto. S . Antonino era “Sciare ‘e

puisia, speranza ‘e ll’ommo, giglio ‘e sentimento” (Fevraro curto e amaro).

Ricordiamo l’Inno a S. Antonino Abate e il poemetto biografico in versi ‘A

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA 7 1

vita ‘e S. Andulino, ‘A Maronna ‘o Cannene, ‘A Maronna Morta, AL Cuore

di Maria, Alla Vergine della Cintura, S. Maria degli Angeli. Alcune poesie

sono dedicate a santi e luoghi di culto: Santa Lucia, ‘A Festa ‘e Sant’Anna,

A Sant’Agnello Abate, Il mese di San Giuseppe, ‘A Cantata cl’ ‘e pasture,

Nell’Umbria verde , Sul deserto sorrentino.

Nella raccolta Il Poeta e l’Ortolano Saltovar s’impegnò invece a celebrare

i prodotti dell ‘orto racchiudendo in un unico volume Gli Orti di Armida e Nei

giardini di Armida . In questi componimenti diede vita a personaggi-01taggi

davanti allo sfondo incantevole del paesaggio sorrentino, facendoli sfilare

con un tono verista, leggero e scherzoso, in una sorta di “poema dell’orto”

che infonde serenità e ottimismo . Le composizioni sono molto fresche,

ironiche, gioiose e giocose, quasi dei “divertissements” poetici.

Anche qui in primo piano è il paesaggio, lo stesso che ritroviamo in una

moltitudine di poesie e di canzoni. È il loro elemento caratterizzante. Tra le

raccolte più riuscite, dove costante è la sua presenza, sono da ricordare ‘A

luggetella mia, ‘a prevola d’uva, janesta d’oro e auti pazzielle campagnole

del 1939 e Casarella ‘ncampagna del 1940. Due godibili libricetti, illustrati

dal già menzionato pittore Antonino Fiorentino, fedele collaboratore del

Nostro, famoso per ritratti , scorci caratteristici e nature morte dai toni caldi e

realistici, che eseguiva nel suo atelier in Via Rota a So1Tento.

Le poesie di queste due raccolte sono esempi chiari ed espliciti del modo

poetico usato da Saltovar per rappresentare l’ umile vita quotidiana contadina,

fatta di gioie ingenue come la sua stessa scrittura. Sono poesiole tuttora

apprezzabili da un lettore scevro di ambizioni intellettuali per la loro

semplicità e immediatezza, dove il poeta esalta le bellezze della terra

sorrentina come un innamorato la sua donna. Interessanti le due prefazioni

per capire quanto e come fosse allora godibile l a sua scrittura. Le

caratteristiche del poetare di Saltovar vengono così delineate dal professore

Pasquale Bruni nella prefazione alla raccolta ‘A luggetella mia: “Poeta dolce

e direi quasi idilliaco dei cieli sereni, dei campi fioriti, delle acque azzurrine,

degli affetti familiari, delle usanze paesane, della profonda fede religiosa dei

suoi conterranei . E tutto quello che canta egli l ‘ha prima sentito

profondamente entro di sé, l’ha vissuto, e questo spiega la naturalezza del suo

cantare, la spontaneità delle sue immagini e la fluidità del suo verseggiare”.

Nella prefazione a Casarella ‘ncampagna, l ‘avvocato Lelio Cappiello

confronta il Nostro con i pittori della scuola napoletana del l ‘Ottocento:

72 ANNA FIORENTINO

“Niente elegia o malinconia: ma la gioia serena, apollinea, che viene dalla

lucida contemplazione della bellezza naturale, e che sale dal gran libro della

natura ( … ) Il senso divino della natura, lo spirito panico e dionisiaco è quello

che informa l’opera di Saltovar”.

Ecco che appare , infatti , in molti versi, la macchia cromatica mediterranea

e solare della Scuola di Posillipo e del suo maestro Giacinto Gigante. Ci sono

poesie che sembrano la trasmutazione scritta di morbide gouaches o di

romantiche tele del vedutismo della scuola posillipese. Figure e atmosfere

sono presentate e tradotte liricamente con un forte gusto della visualità, per

esaltare il quotidiano e comunicare la fre schezza dei fenomeni rappre sentati.

Saltovar “dipinge” con sottile e dettagliato realismo la campagna, le bellezze

minute e paesaggistiche del suo lento incedere, anche grazie a finissime

“pennellate di colore” date allo sfondo con un avvincente e abile uso del

dialetto, trasformato con agilità in efficace strumento poetico.

Saltovar evoca e invoca il suo mondo prediletto usando un modo poetico

molto scenografico e descrittivo, avvalendosi di un’enorme varietà di termini

ispirati alla vita di campagna. Il suo codice linguistico prende vita e vigore

dalle tradizioni e dalla cultura locali. Con la garbata semplicità dei suoi versi

trascina il lettore dinanzi ai forti valori del lavoro contadino e della sua terra,

innalzando un inno d’amore all’homo naturalis e alle sue ataviche radici.

L’attenzione è così concentrata su fre schi e veraci bozzetti della vita dei

campi, dove regnano incontrastati gli affetti familiari più profondi . Essi

proiettano lo sguardo lontano, in una dimensione “d’antan” nostalgica ed

evocativa. Non mancano un sottile senso di malinconia e un delicato stupore

davanti ai luoghi che il poeta vive e adora, i quali si tramutano rapidamente

in luoghi dell’anima.

Ogni poesia tinge di colori, odori, sapori e profumi gli angoli più amati

dal poeta: una terrazza fiorita , un pergolato d’uva, un giardino vestito di

primavera , un uomo che semina, una donna che fila e così via. I personaggi

dei “quadri” di Saltovar, impegnati nel loro umile lavoro, sono protagonisti

ideali che vivono i loro immacolati sentimenti in un “piccolo mondo antico”,

un microcosmo agreste che si fa presepe, ove ognuno è pastore di un

immaginario presepe, come in Presebbio paisano.

Quasi sempre i luoghi sono descritti in rapporto a eventi legati al

succedersi delle stagioni, evocate in modo da trasmettere una profusione di

sensazioni che si rincorrono, si cercano, si richiamano, si sommano, a volte

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA 73

in un gioco quasi sinestetico. In estate regnano l’oro del sole e del grano,

l’aria imbalsamata di fiori , frutta ed erbe aromatiche. In autunno e in

primavera la campagna diventa dolce, sono protagonisti gli uccelli con il loro

canto, gli insetti, gli animali della fattoria, gli orti e le loro verdure . In inverno

appaiono ‘a trubbea, le nebbie, il telaio, il forno e il camino.

Tra gli elementi naturali uno dei preferiti era il cielo, intimo compagno dei

pensieri del poeta, sfondo suggestivo ai momenti più creativi con la sua luna

e le sue stelle, il sole o il tenue chiarore del crepuscolo. “Calmo e

armonioso”, bello come una seta, alleato ideale di momenti di amore e voce

di Dio quando compaiono i segni più fulgidi della sua esistenza.

Lu cielo è tanto bello, e ogne tanto

cumparescene ‘e stelle 􀂜hiare chiare

la luna mo’ s’affaccia e cu nu manto

schiarisce da li munte, nzi a lu mare

(‘O Guolfe ‘e Napole, vv. 1-4)

Anche il mare funge spesso da idilliaco sfondo con la sua mediterranea

vitalità. È un mare ‘ncantatore, doce e placedo, popolato di varchette e

sanduline, vuzze, paranze e vvelelle. Linea d’ orizzonte della campagnella

saltovariana questo mare è il compagno eletto dei due sentimenti dominanti

della scrittura poetica e dell’esistenza stessa di Saltovar: “L’ ammore e la

puisia”. “M’è stata sempre affianco ‘a Puisia” dice il poeta. “Ammore e

puisia tessono ‘na vesta ‘e raso luceto a ogni innamorata”, e fanno ” ‘na

stragge ‘e femmene gentile”. L’amore è il “nennillo Amore”, un rustico

Cupido che “pazzea e cunnulea il pastore”, bucolico e leggendario contadino

di un’Arcadia nostrana. L’amore si annuncia ancor più vivo con i primi

profumi degli aranci in fiore , e solo allora “P’ ‘e terre sorrentine se risuscita

l’Ammore”. Amore e poesia si cercano e si uniscono, si sovrappongono,

unendo in fecondo e generoso connubio arte e natura, una dualità di antica

memoria nella storia letterar ia.

Con la poesia Saltovar raggiungeva in tanti modi la vera vita, quella verità

silenziosa e invisibile, nascosta dietro l’angolo di un giardino, il profumo di

un fiore , il richiamo di un passero. Era il mezzo privilegiato per la ricerca

dell ‘ Ideale, quel vitale pulsare che lo conforta e lo rasseren a, racchiuso nei

semplici gesti e negli antichi rituali del contadino. “Che vita bella miez’ ‘e

74 ANNA FIORENTINO

campagnuole”, esclama il poeta in un momento di entusiasmo. È tra i

“campagnuole” che il Nostro trovava sollievo dalle pene quotidiane e dagli

affanni di sempre, perché la campagna è “doce, tennera, gentile”, regala

quiete e pace all’anima mossa esclusivamente da pulsioni del cuore. Era il

soggetto prescelto per esprimere la sua religiosità, tradotta anche in

gratitudine verso l a volontà divina:

Campagna sulitaria,

spuzillo d’oro mio;

ringrazio sempre Ddio

‘e sta vecino a te!

( ‘O mese d’ ‘o grano, vv. 33-36)

La natura era dunque la musa ispiratrice di Saltovar che esprimeva le sue

tensioni emotive tratteggiandola priva di decori e abbellimenti gratuiti,

d’ inutili orpelli. Nell ‘amore per la campagna trovava il medicamento ideale

per la sua anima sensibile. Coglieva tutte le sfumature con compassione e

devozione; adorava i fiori e i frutti , gli animali, i paesani. Scriveva con tale

dovizia di particolari da immergere i l lettore in un’atmosfera idilliaca e

lontana. La campagna è dolcezza di vivere:

Campagna doce, all’uommene dà pace

(Suonno d’abbrile, v. 5 )

‘A vita è doce sotto ‘o pergulato,

silenzio e pace . . . J’anemo è contento

( ‘O Vìsuvio ‘nfesta, vv. 27-30 )

Saltovar la idealizza con toni così profondi da aprire la mente del lettore

verso una dimensione panica del Creato rivestita di romanticismo:

E io ce godo, mmiez’ a sta campagna

se zuca tutto ‘o ddoce ‘a fantasia,

‘o lietto mme nne caccia (che cuccagna !)

e i’ mme piglio ‘mbraccia ‘a Puisia

(Marzo, vv. 25-28)

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA

Nella campagna tutto è felicità:

Campagna ‘un tiene lacreme

si non so’ chelle ‘e gioia

(Casarella ‘e campagna, vv. 4 1 -42)

La campagna è luogo di serenità e armonia:

Vita ‘e campagna, vita ‘e gran signore

senza penziere e senza malattia,

comm’a n’aucelluzze cantatore

ca mrniez’ ‘e frasche sceta ll’armunia

(‘O core ‘ncampagna, vv. 37-40)

È generosa di ogni bene:

‘O bene che ce scenne d’ ‘a campagna

‘un se pò dì: è ‘a porta ‘e nu tesoro,

Ile dai fatica, e essa quanno magna

t’ ‘o ricumpenza sempe a piso d’oro.

(Marza, vv. 69-72)

È anche fonte di libertà:

‘Ncampagna diebbete non se ne fanno,

‘e guaie s’affocano e ‘ ‘a lebbertà.

Pe ‘mmiez’a ll’evere, ‘ncopp’ a nu scanno,

nu muorzo d’aria te fa scialà!

(L’urdema canzana ‘e luglio, vv. 43-46)

È regno del cibo semplice e genuino, di sane bevute:

‘O litro ‘e latte c’ ‘o viscuotto ‘e grano

mme fanno ‘e vvene limpide e sincere

(Faciteme pittà, vv. 29-30)

75

76 ANNA FIORENTINO

‘O mmagnà bbuono, ‘o zuco d’ ‘o granato

fa l ‘ ommo allero e sceta ‘a fantasia ( . . . )

‘ O vino bbuono canta e se nne scenne,

ma spisso mette ‘e spine ‘ncopp’ ‘o core

(Taverna ‘e campagna, vv. 27-28, 40-41 )

L a campagna è il regno di Pomona, dea del raccolto e dell’abbondanza, e

Saltovar le innalza una pagana preghiera:

Viene Pomona a renghierme

ste cceste ‘e pummarole

e doi canzone cantarne

c’ ‘o coro ‘e ste figliole

( . . . ) Pomona bella ‘ndoreme

chist’uorte e sti ciardine . . .

E famme ‘int’ a sta grolia

guardanno a ste marine

c’ ‘o chiarito senza lacreme

‘na vota addubbecà

(Int’ ‘o regno ‘e Pomona, vv. 1-4, 7 – 1 2)

La campagna vive, trionfa, con i suoi orti ricchi e rigogliosi:

E l’ uorto cresce: spontano

mellune e mulignane …

e dint’ ‘e ruote frieno

mucose ‘e pparmiggiane

(lnt’ ‘o regno ‘e Pomona, vv. 43-46)

Int’ ‘e campagne rirere

se vere ogne menesta;

nzalata, torze , vruoccole

se sò vestute a ffesta.

(Fevraro curto e . . ., vv. 1 3 – 1 6)

Su tutto domina e tutto impreziosisce la terra delle Sirene:

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA

Tutta ‘ncantata ‘ a terra d’ ‘ e Serene

mmiez’ ‘o profumo ‘arance e mandarine;

bbrinnese fanno e intrecciano catene

‘e pacchianelle ‘ e sciure arance fine

( ‘ O Visuvio ‘nfesta, vv. 9-12)

77

Alla bellezza della campagna si unisce quella delle più amene ed edeniche

località del golfo di Napoli di cui Saltovar elogia la beltà col suo costante

stupore, e che esalta ancor di più nel ricordo dei canti delle allegre

campagnole e della loro fresca musicalità:

Che bella musica! Che fantasie

ca ‘e campa mannano ‘ a parte ‘e ccà;

vucchelle ggiovene pe’ ‘mmiez’ ‘e vvie

che note tennere sanno ntriccià

(L’urdema canzona ‘e luglio, vv. 3 1-34)

‘Na musica ‘e chitarre e manduline

a dint’ ‘e bbosche scenne e mme cunzola,

a miez’ a ‘e pezze ‘e nnenne surrentine

cantano a coro: “Scetate, viola!”

(Taverna ‘e campagna, vv. 1 3 – 1 6)

Le nenne cantate da Saltovar sono tutte umili figliole che rispondono ai

nomi della più pura tradizione sorrentina. Sono tutte “pacchiane e

pacchianelle, cummare e nenne belle”, ognuna con un ruolo ben preciso,

ognuna dedita al lavoro domestico o dei campi, tutti tipi ben definiti e

caratterizzati: c’è la casecavallara, ‘a piccerella, ‘ a ‘ nnammurata, ‘ a

muntagnara, ‘ a verdummara, ‘a sposa fresculella, ‘ a tavernara, ‘ a

ziarellara. Figure idealizzate, ricordate col loro allegro cantare, l a fresca

avvenenza, la semplice e rustica bellezza di una “Vennere ‘e campagna”,

che rapisce “cianci osa e bella”, “cu ‘ a vucchella azzeccusella che pare

proprio ‘na rusella” (versi che ci riportano alla mente quelli famosi di

D’Annunzio nella canzone ‘A Vucchella) . Nelle tenere fanciulle si

specchia la nostalgia per un amore ideale e lontano, che s’incarna in

ognuna di loro:

78 ANNA FIORENTINO

‘O core se fa tennero

quase ‘e malinconia

e guarda ‘a loggia ‘e fravule

d’ ‘a peccerella mia.

Ma chi? Nannina, Amalia

Cuncetta o Mariarosa?

Carmela, donna Briggeda

Pupetta o ‘Ngelarosa?

(Matenata auriosa, vv. 17-24)

Le “vucchelle ggiovene” delle rustiche soITentine si contrappongono ai

tratti forti dell’uomo faticatore, il parzunaro, che diventa di volta in volta ‘o

pate, ‘o nnammuratiello, ‘o sposo, ‘o cacciatore, ‘o vuttaro, con i nomi che la

cultura contadina impone. La loro istruzione è affidata a madre natura:

‘Ncampagna s’addeventa prufessore

e se fa sempre scola c’ ‘a Natura

(Marzo, vv. 73-74)

La loro salute e la loro felicità nascono dall ‘aria salubre e dal cibo sano,

pur restando confinati nel duro lavoro dei campi e nella durezza del loro

stesso carattere:

‘O parzunare è n’ommo capricciuso

n’ è mai cuntento ‘e chello che guaragna

(Schizze e macchiette campagnole, vv. 33-36)

Ogni momento lirico è un lungo susseguirsi di topoi del mondo contadino:

la semina, il raccolto, le scene di cortile, gli interni dei casolari, le donne

intente nei loro lavori domestici, gli uomini impegnati nei campi, e cosl via.

Ognuno di questi topoi è un motivo aggregante, crea un legame tra altri

elementi con al centro un fattore estremamente vitale che è la tensione

affettiva. È questa che fissandosi su un elemento poetico lo rende idea-guida.

Così che tutto ciò che ruota intorno al tema centrale è enfatizzato

dall’emozione che porta a un’ulteriore enfatizzazione del mondo circostante.

Tutti i luoghi e le azioni descrivono uno stato d’animo, cogliendolo in una

prodigiosa ricchezza d ‘implicazioni,

permettono di afferrare

l ‘essenza della vita

secondo Saltovar in una miriade

di evocazioni coinvolgenti,

mentre noi arricchiamo

ancor più il testo con

le luci, le ombre e i colori

della nostra vita, diventando

noi stessi poeti, creatori di

poesia, della “nostra” poesia.

Le evocazioni e le vibrazioni

che danno movimento

alla scrittura, grazie a questa

forte emotività che la

produce , creano uno spazio

affettivo che si affianca a

quello scenico dei fenomeni,

immergendoci in un clima di

attesa, d’incanto e di gioia.

Tra spazio affettivo e spazio

scenico il legame è così forte

che spesso il primo s’impone

al secondo, gli conferisce

senso e forma, e lo tramuta in

visione fiabesca. È l ‘affetto il

cuore pulsante della piccola

comunità invocata ed evocata

da Saltovar, il prim’attore

della rappresentazione

SALTOVAR POETA DELLA NOSTRA TERRA 79

SALTO VAR

Filomena

‘a scaglluzzara

Schizzi e macchielle

di costumi Sorrentini

dell’ 800

Il

poetica, il vero soggetto dell’azione, creatore di un senso profondo che dà

energia alla parola poetica e arricchisce l’immagine.

Ai fenomeni, agli oggetti, alle persone che animano e interpretano il suo

mondo Saltovar attribuisce costantemente la sua affettività, segno distintivo

e di maggior pregio del suo semplice verseggiare che fa delle sue poesie un

microcosmo intimo e personalissimo, espressione intensa di un grande e

80 ANNA FIORENTINO

immutabile amore per la sua terra. Quello stesso amore che fa sentire i l poeta

stesso fiore tra i fiori, paesano tra i paesani, soggetto e oggetto di un georgico

e mitico universo.

DAL LIBRO famiglie sorrentine dell’ottocento  di nino cuomo

Famiglia  FRANCESCO GARGIULO ‘O Cannuniero Saltovar  (Sec. XVIII)

Questa famiglia di cui iniziamo la descrizione, nella storia di Sorrento, si presenta

fra le più antiche – o meglio fra quelle di cui si può, maggiormente, arretrnre nelle ricerche

– perché la prima persona di cui abbiamo notizie, è una delle due che la storia

ci tramanda per un episodio verificatosi nel 1799, quando Sorrento, fedele ai Borbone

e resistente alla Repubblica Partenopea, era assediata dai francesi, comandati dal gen.

Sarazin. Quando questi inviò, per l ‘ennesima volta, un drappello con la bandiera bianca

perché Sorrento si arrendesse, due soldati sorrentini fecero partire un colpo di cannone

dal castello sulla porta principale, che delimitava il confine orientale della città, uccidendo

tre soldati e ferendo il tenente che comandava il drappello.

Questi due erano Francesco Gargiulo e Domenico Fiorentino e, poiché il primo fu

quello che, materialmente, fece partire il colpo, fu chiamato Francisco ‘o cannuniero.

E da questo temerario sorrentino inizia la storia di questa famiglia (della quale, per

la verità ci è giunta notizia – da parte di uno degli ultimi nipoti, Giuseppe, figlio di Carlo

– anche del padre di Francesco, a nome Angelo, secondo l’atto di acquisto del primo

fabbricato, nel quale lo stesso Francesco è individuato ”fa Angelo”).

Il suo massimo esponente, sul piano imprenditoriale e culturale, fu Silvio Salvatore,

più noto con il nome di Saltovar (nipote di Francisco ‘o cannuniero) il quale, nel tempo

e con le sue iniziative culturali e di beneficenza, ha inteso riparare al gesto del suo avo.

Sorrento fu salvata dalla distruzione cui l’aveva condannata il generale francese, da

mons. Silvestro Pepe e dal cavalier Spasiano, che vi si recarono (era accampato nella

zona di Marano ), per dissuaderlo dal suddetto proposito e, di fronte alla sua resistenza

lo misero nella responsabilità di distruggere la città che aveva dato i natali a Torquato

Tasso. Così riuscirono a dissuadere il generale francese,

Anche se Sorrento fu sottoposta a veder demolita una parte del castello d’ingresso

alla città, pagare una forte somma di denaro e lo Spasiano, essendosi qualificato erede

132

dell ‘autore della “Gernsalemme Liberata”, dovette omaggiare il generale francese di

un ritratto originale del grande Poeta, che era conservato nella sua abitazione e che fu

portato a Parigi e finì al Museo del Louvre. Una copia, eseguita prima della consegna al

generale francese, fu donata, anni dopo – per pressione dello stesso Saltovar – al Museo

CoJTeale, dove è esposta insieme ad una raccolta di opere tassiane donata.dallo stesso

Saltovar. Intanto – per amore della storia – bisogna aggiungere che i due responsabili

del “colpo di cannone”, per salvarsi dai francesi, scapparono a Capri, che, allora, era in

possesso degli inglesi.

Al rientro da Capri, con il ritorno dei Borbone, Francisco ‘o cannuniero ebbe, dalla

regina Carolina, un cuscino di penne d’uccelli, due materassi di lana, un vaso di porcellana

di Capodimonte ed un sacchetto di confetti e, dal Re Ferdinando, uno “spaccio

di Sali e tabacchi”, al quale egli aggiunse altri articoli per costituire un “emporio”. Tale

attività si sviluppò in. un terraneo. Fuori le mura nei pressi della chiesa del Carmine,

attuale corso Italia – allora si chiamava “il borgo”, di fronte al palazzo che, ancora oggi

è chiamato “Palazzo Spasiano”, per essere stato di quella famiglia nobile sorrentina.

Secondo lo stesso racconto di Saltovar il nostro eroe prese moglie e questa donna

gli diede due figli, ma morì g iovanissima e i figli furono affidati alla famiglia di lei.

Allora Francesco sposò, in seconde nozze, Carolina Monte/usco, da cui ebbe tre figli :

Antonino, Giuseppe e Angelina.

Il primo figlio Antonino Gargiulo, divenne sacerdote ed ebbe un ruolo determinante

nella formazione del nipote Silvio Salvatore, durante l’ infanzia, mentre Angelina si

dedicò alla vita religiosa, pur restando, però, nell’ ambito della casa patema (all’epoca,

chi si dedicava a questa vita, si chiamava “monaca di casa”).

Giuseppe Gargiulo nacque il 28 aprile 1831 ed iniziò ad “apprendere il mestiere

di falegname, prima con ascia, martello e sega, in seguito, nella sua maturità artistica,

passò al bulino” ed, a diciassette anni, passò dalla bottega di falegname a quello di un

maestro dell’ arte dell ‘ intarsio, Michele Grandville, segnalatogli da Antonino Damora,

valente cultore di tarsia e mosaico che gli aveva insegnato i primi rudimenti di quell ‘arte.

All’epoca, a Sorrento, tre erano gli stabilimenti di lavori d ‘ intarsio: oltre i due indicati

c’era quello di Luigi Gargiulo.

La bottega di Grandville, dove Giuseppe Gargiulo, insieme a tanti altri, si formò,

era ubicata in via Tasso, al piano terra del fabbricato, proseguendo verso mare, compreso

fra l’attuale via dell’Accademia e lo spiazzale di San Paolo.

Giuseppe Gargiulo, aveva poco più di trent’anni, quando pensò di staccarsi da

Grandville ed, unendosi con Vincenzo !ovino, molto abile nei lavori d’intarsio e mosaico,

in argento e madreperla (fratello del Rev. Nicola !ovino, Rettore del Seminario

Arcivescovile di Sorrento ed autore di interessanti scritti storici su Sorrento), misero

bottega in via San Cesareo (di fronte all’attuale fontana) nel fabbricato ove era la farmacia

Astarita, iniziando a lavorare insieme. Ma la società durò pochi anni e !ovino

mise bottega da solo a pa lazzo Cozzolino, al! ‘attuale corso Italia. A “Pupeppe” il figl io

attribuisce i primi lavori in mosaico!

Intanto era giunto a 37 anni e ritenne di essere già in ritardo per mettere su famiglia,

onde, il 31 ottobre 1867, sposò Assunta Maria Carmela Montagnaro (nata nel 1846),

figlia di Simone Montagnaro, il che consentì a Giuseppe Gargiulo di locare alcuni terranei

in via Tasso e, unitosi con il nipote Francesco e Francesco Cuccaro, diede inizio

133

Saltovar in campagna

134

alla ditta “Giuseppe Gargiulo e C.”. Dopo anni, rimase solo con il nipote ed – a detta del

figlio Saltovar – si “affibbiò” il soprannome di “Pupeppe” ( o “Popeppe”).

Dal matrimonio di Giuseppe Gargiulo e Assunta Montagnaro nacquero cinque figli:

Angelina (che sposò Armando Toscano), Adelina (che sposò Giuseppe Rina/di), Melania

(che sposò Emilio Di Maio), Giulia (che sposò Alfonso Montefasco) e Silvio Salvatore

Antonino Saltovar – che sposò Luisa Garganico di Bellagio, sul lago di Como.

“Pupeppe” si diede da fare e sviluppò la sua azienda che diventò, subito, una delle

più accorsate di Sorrento nella produzione di articoli d’ intarsio e mosaico e crebbe velocemente,

al punto che molti suoi capolavori sono sparsi per il mondo (allora S01Tento

era frequentata da ospiti facoltosi che acquistavano articoli d’ arte), mentre alcuni sono

esposti al Museo Correale per dono del figlio Saltovar. Egli morì nel 1912, la moglie

nel 1934.

Saltovar nacque il primo ottobre 1868, al secondo piano del palazzo “Ruocco”, in

quella che oggi è individuata come via dell’Accademia ( ad angolo con via P. Reginaldo

Giuliani, ex via Arcivescovado) e, mentre, all’infanzia, crebbe alla scuola dello zio Antonino,

prete, nella gioventù, si sviluppò con lo zio materno, Don Salvatore Montagnaro,

che gli inculcò l’amore per la cultura, apprendendo ad amare le lettere, a studiare i

classici latini (in prosa ed in versi).

A 15 anni iniziò l’attività con il padre che, intanto, rompeva i rappotti con suo

nipote, Francesco Gargiulo, ed a 21 anni ne diventò socio. Tutta la famiglia si trasferì

al corso Italia, nel fabbricato di fronte al ristorante ‘”O Parrucchiano” (attribuito alla

nipote Luigia, figlia del figlio Giuseppe).

Silvio, Salvatore, Antonino Gargiulo (si noti che dopo ogni nome è posta una virgola,

come nel verbale del regi stro delle nascite del Comune di Sorrento) era un uomo

poliedrico scrivendo in italiano ed in napoletano, dando alle stampe centinaia di pubblicazioni.

Frequentò, a fine ‘800 gli ambienti della stampa napoletana, divenendo amico

di Edoardo Scarfoglio e di sua moglie, Matilde Serao.

Per la sua attività commerciale ebbe occasione di girare l’Italia e fu così che, sulle

rive del lago di Como, a Bellagio, conobbe Luigia Garganico (nata ivi 1’8 febbraio

1877), che sposò il 9 novembre 1899, avendone tre figli: Giuseppe, Assunta e Teresa;

dal 1901 iniziò l’attività imprenditoriale in proprio e, nel 1940, raggiunse la massima

espansione commerciale con tre aziende a Sorrento ed alh·e tre a Capri, Napoli e Bellagio,

ed una rappresentanza negli Stati Uniti d ‘America.

Nel 1905 affrontò la vita politico-amministrativa al Comune di S01Tento, svolgendo

l’attività di assessore effettivo dal 1920 al 1923; nel 1921 era collaboratore di diversi

giornali e riviste con scritti di vario genere; già nel I 905 aveva iniziato la sua attività

di scrittore, prima con alcuni articoli sul “Sorrento nella vita, nell’arte e nel lavoro” e

con note biografiche su Bartolommeo Capasso (1908), termi nando nel 1944 con “Gente

nostra”. Pubblicò per tre anni, ed a sue spese (1933- 1935), il mensile “Minerva

Sorrentina”; promosse e realizzò belle e qualificanti iniziative culturali a Sorrento nel

primo mezzo secolo del Novecento, concludendo con la donazione della sua raccolta di

opere tassiane, da cofondatore e sostenitore dell’Istituto di Cultura “Torquato Tasso”,

al Museo Correale di cui era stato componente del Consiglio di Amministrazione, in

rappresentanza del Comune di Sorrento.

Da poeta, scrisse, tra l’alh·o, i versi per gli inni religiosi per Sant’ Antonino, la Madonna

del Carmine e la Madonna della Consolazione. Morì, compianto da tutti, il 4

135

novembre 1944. La moglie, Luigia Garganico, era deceduta tre anni prima di lui, il 19

novembre 1941 e, per tre anni, Egli visse sentendone la mancanza.

Giuseppe Gargiulo (nato il 14 agosto 1900 e deceduto il primo ottobre 1980), conseguì

la laurea in ingegneria e sposò – il 10 gi ugno 1926 – Maria Li/Zia, cugina di parte

materna ( nata a Bellagio il 18 maggio 1907 e deceduta il 14 settembre 1991) dalla

loro unione nacquero quattro figli: Silvio (il 6 settembre 1927), Luigia (il 20 settembre

1929), Carlo (il 9 marzo 193 I) e Antonino (l’ 11 febbraio 1933).

Silvio Gargiulo, il 30 settembre I 960, sposò, a Francoforte, lngeborg Schulein (nata

il 30 settembre 1927), da cui ha avuto una figlia, Corinna (nata a Roma il 6 dicembre

1961) che, a sua volta, ha avuto, il 31 agosto 1986, una figlia, Cassandra Ra pone. Silvio

Gargiulo è morto a Napoli il 19 novembre 1990.

Luigia Gargiulo ha sposato, il 25 giugno 1952, Francesco Toscano (nato il 19 gennaio

1911 e deceduto il 12 marzo 1994) con due figli:

Natalia (nata il 20 marzo 1954) che, a sua volta, ha sposato, il 4 dicembre 1976, Costanzo

laccarino (nato il 4 settembre 1953), proprietario dell’Imperia! Hotel Tramontano,

Presidente Nazionale del!’ Associazione Albergatori Italiani e, più volte, Assessore

Municipale e Vice Sindaco di Son-ento, con due figli,

Luigi (nato il 26 aprile 1980) e Francesca (nata il 9 ottobre 1984); Antonino (nato il

25 gennaio 1962) che ha sposato Rosa Gargiulo (nata il 26 gennaio 1965), con due figli,

Francesco (nato il 17 febbraio 1992) e Natalia (nata il 18 ottobre 1997).

Luigia Gargiulo è deceduta il primo agosto 2016.

Carlo Gargiulo (deceduto il 19 marzo 1991), sposò (il 28 febbraio I 965) Cristina

(Titina) Ercolano (nata il 15 aprile 1934), che gestisce l’hotel “La Tonnarella”, di proprietà

sua e del figlio, Giuseppe (Pippotto), nato il 23 febbraio 1966 con tre figli: Cristina

(nata il 13 giugno 1988, dal matrimonio con Anna Laudati), sposata con Agnello

Esposito, con un figlio, Fiorenzo; Carlo (nato il 19 giugno 2000, dalla convivenza con

Grazia Russo) e Silvio (nato il 17 marzo 2011 , dalla convivenza con Alevtina Balan).

Antonino Gargiulo ( deceduto il 6 aprile 1995) sposò, il 27 ottobre 1967, Marisa

Picco (nata il 25 febbraio 1944), con tre figli: Maria (nata il 25 luglio 1969) con due

figlie, Michela (nata il 19 settembre 1996) e Marisa (nata il 15 giugno 1999); Raffaela

(nata il 5 dicembre 1973) e Giuseppe (nato il 26 maggio 1977) che gestiscono, con la

madre, l’ Hotel “La Badia”, su lla collina di Capodimonte di Sorrento, di loro proprietà.

Assunta (Assuntina) Gargiulo (nata il primo settembre 1901 e deceduta il 4 luglio

1988), sposò Amedeo Jannuzzi (nato a Melfi il 3 dicembre 1900 e deceduto ad Abano

Terme il primo settembre 1966), con undici figli:

Luigia (Bigia) Jannuzzi (nata il 4 aprile 1927 e deceduta il 14 luglio 201 5), sposata

con Raffàele Cesara (nato il 25 aprile 1914 e deceduto il 16 settembre 1974) con un figlio,

Alessandro (Sandro) (nato il 13 aprile 1957), sposato con Maria Rosaria Vassalli

con un figlio, Raffaele.

Adele Jannuzzi (nata il 28 giugno 1930), sposata con Giovanni (Giannino) Caso/a

(nato il 28 aprile 1927 e deceduto il I O gennaio 2013 );

Silvio Jannuzzi (nato il 23 settembre 1932 e deceduto il 4 luglio 2009) sposato con

Bjorg Lere,:, (nata i I 13 aprile 1945) con una figlia, Sara.

136

Saltovar scrive Storia di Sorrento

Silvio Jannuzzi dopo una gara vittoriosa

137

Vittorio Jannuzzi (nato il 25 luglio 1934), sposato con Carole Couchman (nata il 28

dicembre 1944), con due figli Marco e Miriam, quest’ultima con due gemelli, Antonino

e Vittoria.

Umberto Jannuzzi (nato il 6 settembre 1936 e deceduto nel 2016), sposato con Giuliana,

con un figlio Dott. Massimiliano Mungo (nato il 12 aprile 1960) con tre figli:

Lorenzo, Adriano e Alessandro.

Apollo Jannuzzi (nato il 23 novembre 1938), sposato con Carmela (Eliana) Iaccarino

(nata il 25 aprile 1947 e deceduta il 24 novembre 2016), con una figlia, Simona.

Giuseppe (Peppino) Jannuzzi (nato il 4 febbraio 1940), celibe.

Francesco (Franco) Jannuzzi (nato il 23 settembre 1942 e deceduto il 17 aprile

1984), celibe.

Alberto Jannuzzi (nato il 15 giugno 1945) sposato il 21 settembre 1968 con Alida

Astarita (nata il 30 agosto 1948) con tre figli: Amedeo (nato 1’8 agosto 1969), sposato il

24 luglio 1994 con Antonella Virzi, con figlie, Alida (nata 1’8 maggio 1998) e Alessandra

(nata il 25 ottobre 2007); Orazio (nato il 28 maggio 1972), sposato il ? luglio 2014

con Claudia Astone, con un figlio, Alberto (nato il 29 gennaio 2016); Diana (nata il 14

aprile 1984), nubile.

Paola Jannuzzi (nata il 12 settembre 1949) sposata con Antonino Acampora, con

due figli, Rosalinda (nata il 3 ottobre 1970) e Francesco (nato il 9 novembre 1973).

Teresa Gargiulo (nata il 19 giugno 1908 e deceduta il 31 dicembre 1981 ), sposò,

nel 1926, Vincenzo Visco (nato il 31 ottobre 1898 e deceduto il 16 marzo 1982), con tre

figli: Giuseppe (Peppino) Visco (nato nel 1927); Isa Visco (nata nel 1932); Salvatore

Visco (nato nel 1936).