Un viaggio nel cuore della teologia e della poesia barocca ha preso vita grazie all’eccezionale lavoro di Domenico Palumbo, che ha tradotto per la prima volta in italiano l’opera Il trionfo della Vergine, madre di Dio, nel cielo di padre Costanzo Pulcarelli, gesuita e autore dimenticato del Cinquecento.
Nato a Monticchio nel giugno del 1568 e morto nel 1610 a soli 42 anni, Pulcarelli è un personaggio che sfugge al grande pubblico, eppure la sua vita e la sua opera meritano attenzione. Poeta, teologo, traduttore e medico, fu un autore eclettico e prolifico. Tra i suoi lavori si annoverano epigrammi, carmi, opere di teologia e persino un poema eroico di argomento medico. In un tempo di fermenti culturali e spirituali, Pulcarelli si trovò a corrispondere con figure illustri come Galileo Galilei e il Viceré di Napoli, lasciando il segno con i suoi scritti.
Tuttavia, lo stesso Pulcarelli desiderò che molte delle sue opere andassero perdute. A salvarle dall’oblio fu un altro conterraneo, Giovanni Paolo Caccavello, che ne raccolse i manoscritti e provvide a pubblicarli, rendendo omaggio a un uomo che fu insieme erudito e sacerdote.
La memoria di Pulcarelli è stata mantenuta viva nei decenni grazie agli sforzi di figure come don Saverio Mollo, Benito Iezzi ed Enzo Puglia, che diedero vita ai Quaderni Pulcarelliani. Questi studiosi si impegnarono a tradurre alcuni dei suoi componimenti, ma Il trionfo della Vergine è rimasto fino ad oggi inaccessibile ai lettori italiani, vincolato alla lingua latina.
Domenico Palumbo, con passione e competenza, ha ora colmato questa lacuna. Durante un incontro dedicato alla presentazione della sua traduzione, Palumbo ha letto e spiegato i passaggi più significativi del poema. L’opera celebra l’Assunzione della Vergine Maria, raccontando la sua salita al cielo tra cori angelici e immagini di straordinaria bellezza.
Il testo si distingue per la sua complessità simbolica e la profondità teologica. Pulcarelli intreccia riferimenti alla Genesi, al Cantico dei Cantici e a una visione mistica dell’amore divino che vede nella Vergine Maria il riflesso più puro di Dio. Le descrizioni sono dense di immagini luminose, con Maria accolta tra le braccia del Figlio in un tripudio celeste che unisce cielo e terra.
La traduzione di Palumbo non è solo un’operazione letteraria, ma un invito a riscoprire un patrimonio dimenticato. L’opera di Pulcarelli è uno specchio della sua epoca: un tempo di grande fervore religioso e intellettuale, in cui poesia, teologia e scienza si intrecciavano.
Grazie a questo straordinario lavoro, i lettori di oggi hanno l’opportunità di avvicinarsi a un autore capace di parlare di eternità con un linguaggio che unisce rigore e passione, dottrina e bellezza.
L’invito, dunque, è a non mancare a questa celebrazione del talento di un nostro conterraneo, che con il suo Trionfo della Vergine lascia ancora una volta un’impronta indelebile nella storia della fede e della letteratura.
Nella serata culturale e spirituale appena conclusa, Stefano Ruocco ha introdotto Domenico Palumbo, il quale ha presentato la sua nuova traduzione dell’opera del grande umanista Costanzo Pulcarelli, un evento che ha affascinato il pubblico con un intreccio di storia, letteratura e fede.
Stefano Ruocco e Domenico Palumbo riportano alla luce Costanzo Pulcarelli: celebrazione della devozione e della classicità.
“Cominciamo questa serata così documentativa e illustrativa del nostro patrimonio e della nostra devozione alla Madonna,” ha esordito Ruocco, preparando il terreno per un viaggio culturale che non è stato solo accademico, ma profondamente emozionale. Palumbo, con grande dedizione e perizia, ha tradotto un’opera di Pulcarelli, dimostrando che il poeta non è un “umanista minore”, come alcuni studiosi avevano affermato, ma un maestro di elevata statura, capace di intrecciare la spiritualità cristiana con la classicità umanistica.
La narrazione ha trasportato i presenti nel cuore dell’opera di Pulcarelli, una celebrazione della Madonna come simbolo di fede e umanità. Palumbo ha illustrato come il poeta dia voce a una Maria profondamente umana, una madre che soffre la perdita del figlio e vive la propria esistenza terrena con il peso della memoria e il desiderio di ricongiungersi al cielo.
Particolarmente toccanti sono stati i passaggi in cui Maria, stanca della vita e consumata dal dolore, invoca il figlio morto e riflette sul sacrificio che l’ha privata di lui. “Maria non si abbandona alla disperazione,” ha sottolineato Palumbo. “Desidera il cielo, ma rimane fedele al volere divino, incarnando la speranza e la resilienza.”
Costanzo Pulcarelli, con il suo stile che richiama i classici, riesce a creare una Maria che si muove tra mito e fede. La sua sofferenza è paragonata a quella della fenice che rinasce dalle ceneri, e il suo sguardo al cielo riflette una ricerca di eterno che trascende i limiti terreni.
Palumbo ha evidenziato come Pulcarelli intrecci magistralmente temi cristiani e umanisti: “Il poeta fa convivere l’età dell’oro classica con l’avvento della salvezza cristiana, iniziata con il ‘sì’ di Maria al messaggio dell’angelo.”
Uno dei momenti più intensi dell’opera è l’episodio in cui Cristo manda un angelo a portare alla madre il messaggio della sua Assunzione. L’angelo, simbolo della volontà divina, si rivolge a Maria con parole di dolcezza e rispetto, offrendole la libertà di scegliere. “Pulcarelli sottolinea che anche nel piano divino, Maria conserva la sua autonomia,” ha spiegato Palumbo. “È lei a decidere di abbandonare la vita terrena e di ascendere al cielo.”
Cristo stesso riconosce il peso dell’amore materno, dicendo che la sua sentenza dipende dalla scelta di Maria. È una rappresentazione unica e profonda della libertà umana, che Palumbo ha definito “un esempio sublime di fede e umanità che dialogano”.
La serata si è chiusa con una riflessione sul ruolo di Maria come mediatrice tra cielo e terra, capace di ispirare generazioni di credenti e di rappresentare l’amore divino attraverso la sua umanità.
Stefano Ruocco e Domenico Palumbo, con questa presentazione, hanno offerto non solo un tributo a Costanzo Pulcarelli, ma anche un’occasione per riscoprire la grandezza della tradizione culturale e spirituale che ci lega al passato. Un’opera che, come sottolineato dai relatori, è un dono alla Madonna, ma anche a tutti coloro che cercano nella letteratura una guida verso il sacro e l’eterno.
La conferenza di Domenico Palumbo si è rivelata un’immersione intensa e poetica nel mistero dell’Assunzione di Maria, attraverso una narrazione che combina teologia, arte e sensibilità poetica. Nel suo discorso, Palumbo ci conduce a esplorare il significato profondo della relazione tra Maria, Cristo, e il mistero dell’amore divino.
Palumbo inizia evocando un’immagine potente: l’angelo che, mandato da Cristo, si rivolge alla Morte, invitandola a deporre la sua ferocia e a riconoscere la sacralità dell’anima di Maria. Qui la morte, descritta con termini evocativi come spietata Libitina, esita davanti a un’anima così grande, mostrando un’umanità inedita. Questo momento, quasi teatrale, mostra come il sacro possa imporsi anche sull’inevitabile destino umano, invitando il pubblico a riflettere sulla vittoria della vita eterna sull’oscurità.
Un momento centrale della narrazione è l’incontro tra Maria e Cristo. Maria, descritta come una colomba liberata, anela alla pace e alla libertà che solo il ricongiungimento con il figlio può offrirle. Cristo appare come un faro di luce rosata, simbolo dell’alba e della resurrezione. Con parole delicate, Palumbo descrive come Maria, pur essendo puro spirito, desideri stringere il corpo del figlio, trovandosi però incapace di farlo. Questo dettaglio, carico di tenerezza, sottolinea la natura trascendente dell’amore divino.
Maria, alla fine, accetta di ascendere al cielo con il suo corpo, un gesto che Pulcarelli, teologo citato da Palumbo, interpreta come la piena comunione tra spirito e materia. L’immagine degli angeli che sollevano il corpo della Vergine in una nube luminosa riecheggia iconografie celebri, come la Pietà di Michelangelo e le visioni dantesche. Il corpo di Maria, radioso come la luna che riflette la luce del sole, diventa un simbolo della bellezza divina che trasfigura il mondo.
La descrizione dell’arrivo di Maria in Paradiso è un tripudio di suoni, luci e canti. Cori celesti, cetre dorate e voci polifoniche accompagnano la Vergine verso l’abbraccio di Cristo. Palumbo richiama il Cantico dei Cantici, dove l’amore e la pace si fondono in un’armonia universale. L’immagine di Maria che si appoggia alla spalla del figlio, mentre Cristo si china verso di lei in un gesto di amore e rispetto, è tra le più toccanti della narrazione.
Nel finale, Palumbo sottolinea come Maria rappresenti l’amore materno nella sua forma più pura, capace di tradurre il mistero divino in termini comprensibili agli esseri umani. Maria è madre, sorella, sposa, ma soprattutto ponte tra il cielo e la terra, un simbolo di speranza per un’umanità spesso smarrita. La sua ascensione, circondata da inni e applausi celesti, diventa una lettera d’amore universale.
Palumbo chiude la conferenza invitando a riflettere sull’importanza dell’amore materno come metafora del divino. La narrazione si trasforma in una preghiera collettiva, una supplica a Maria di intercedere per un mondo in rovina. Come scrive Pulcarelli, il poeta della narrazione: “Accetta questa nostra preghiera confusa tra lacrime e canto”.
La conferenza, più che un’esposizione teologica, si rivela un’esperienza poetica e spirituale, un invito a scoprire che nell’amore materno risiede la chiave per comprendere il cuore di Dio.