ARTICOLO aggiornato dagli invuati di Positanonews con video foto e interviste
15/09 ore 12. GEORGES VALLET Il volto di un territorio
Mostra fotografica Frammenti di vita dell’archeologo e storico francese
La mostra fotografica e documentale dedicata Georges Vallet costituisce una preziosa occasione- per entrare nella vita dell’archeologo e studioso francese, ritratto in alcuni momenti della sua Vital privata tra la Sicilia e la Penisola sorrentina, durante eventi di grande risalto per l’archeologia campana.
Si ringraziano Béatrice Gachot, l’Archeoclub di Massa Lubrense e Claude Albore Livadie per il materiale fotografico.
Direttrice regionale Musei Campania Marta Ragozzino
Direttore del Museo Giacomo Franzese.
Curatore della mostra Rosaria Perrella
Allestimento e Grafica Livia Pacera
MINISTERO DELLA MIC CULTURA
Enti promotori
Direzione Regionale Musci Campania
Museo Archeologico territoriale della Penisola
Sorrentina Georges Valler” Città di Piano di Sorrento Collaborazione scientifica e patrocinio Centre Jean Berard CNRS
Museo archeologico territoriale della Penisola Sorrentina Georges Vallet
PIANO DI SORRENTO ASSESSORATO ALLA CULTURA
dal libro GEORGES VALLET, riportiamo lo scritto di Livadie riguardante Piano:
C. Albore Livadie, L. Vlad Borrelli, B. D’Agostino,
S. De Caro, G. Esposito, F. Fratta, M. Gigante, E. Greco,
B. Helly, G.A. Marselli, J.P. More!,
B. Nenci, A. Pelosi, S. Ruocco, M. Russo, A. Stazio
Georges V allet
a cura di Arturo Fratta
I QUADERNI DE «LA TERRA DELLE SIRENE»
UNA VITA PER L’ITALIA
Claude Albore Livadie
Non era la prima volta che mi diceva « Claude, andiamo a Piano
. . . ». Sapevo da tempo che, quando si parlava di scavi, che fossero
quelli che m’impegnavano in quel momento o altri particolarmente
interessanti seguiti da qualche collega, gli veniva il desiderio di vederli
di persona, interessato come era a tutte le scoperte cbe potevano
arricchire le sue conoscenze. Ma questa volta, forse, c’era qualche
altro motivo: teneva a rendersi conto del perché, secondo lui, mi
« attardavo» lontano da Napoli per un periodo lungo, troppo lungo, a
suo parere. Non era mancato un chiaro accenno di rimprovero nel ricordare
la mia prolungata assenza dagli impegni napoletani che mi
avrebbero voluto dietro alla scrivania. « Claude, la fouilleuse . . . r ».
Aveva detto tante volte in questi anni che gli sarebbe piaciuto accompagnarmi
ad Ariano sul sito della Starza; si era ripromesso tempo
addietro di assistere allo scavo delle prestigiose tombe di Calatia. Ricordo
tanti anni fa il suo disappunto per non avere accompagnato Ettore
Lepore sullo scavo di Teano Torricelle. Ma le «cose da fare»,
come diceva, erano tante; nuovi impegni fiaccavano i suoi intenti e si
rimandava ad altri momenti.
Questa volta, però, era deciso. Sull’istante ne fui felice, ma
ben presto mi preoccuparono alcuni aspetti pratici. Dopo tanti anni
di rapporti veri, di schietti scambi d’idee e di programmi pensati
assieme, temevo ancora di deluderlo con le modeste dimensioni di
questo scavo, senza rapporto con le interessantissime ed importanti
problematiche che aveva fatto affiorare. L’area delle tombe eneolitiche
e del complesso santuariale della Trinità era chiusa da varie
settimane e l’abbondante pioggia dei giorni precedenti aveva, di
certo, riempito i pozzi e le fosse dell’impianto artigianale venuto
alla luce rendendo la lettura dello scavo meno agevole. Ero anche
sicura che il vento avesse strappato il telone di plastica che lo ricopriva
e sporcato con carte e detriti i vari ambienti. Mi rammaricavo
che non fosse venuto quando l’indagine era ancora in corso e tutto
era diverso. Ma quell’anno era stato a lungo in Sicilia, poi in Francia,
poi altrove ancora per buona parte dell’estate, senza aver avuto
la possibilità di fermarsi nella casetta di Turro, a pochi chilometri
da Piano, dove amava godere il rustico riposo. Avrebbe potuto partecipare
alla sosta di mezzodl quando, sotto l’immenso lauro che ci
riparava dal troppo sole, si raggruppavano vicino ad una lunga tavolata
gli operai e i giovani archeologi che collaboravano allo scavo.
Era quello il momento in cui si esternavano tutti i nostri interrogativi.
Questa compagnia felice e vivace, di certo, gli sarebbe piaciuta.
L’accompagnai dunque quella mattina sul pianoro della Trinità.
Ero curiosa di sentire il parere dello scavatore di Megara davanti ad
altri muri arcaici, ora monchi e stretti in uno spazio angusto di difficile
lettura. Appena arrivato confessò che era la prima volta che vedeva
uno scavo in Penisola, e dopo aver guardato attentamente le diverse
strutture di tufo sovrapposte, non disse come altri che erano
venuti prima di lui, «io penso che . . . », ma ancora una volta «tu, che
pensi di . . . ». Come sempre, nel massimo rispetto dell’altro. Solo dopo
evocò altre realtà e possibili confronti con altri santuari, tra cui
quello di Punta della Campanella. Era noto che avrebbe voluto organizzarci
uno scavo, trasformando un vecchio sogno in una realtà che
avrebbe illuminato e riempito ancora di più i suoi lunghi periodi in
Costiera. Oltre che per l’interesse strettamente scientifico della ricerca,
anche per raggruppare intorno a sé amici e colleghi che stimava.
Ricordo che se ne era parlato al Soprintendente, che rispose
però: «mi servi a e urna)).
Nel girare tra i muri prese addirittura alcuni appunti con la sua
bella scrittura, fine ed elegante. Mi faceva un immenso piacere vederlo
su questo scavo dove nei primi giorni di agosto dell’ ‘8 7 anche
Paola Zancani, accompagnata dalla nipotina Isabella, ci aveva gratificati
con la sua presenza. La rivedo camminare con eccessiva prudenza
vicino ai pozzi delle tombe eneolitiche appena messe in luce. Teneva
a precisare che erano anni che non vedeva più scavi, anzi che non voleva
più vederne. Per quello della Trinità, che l’incuriosiva, aveva
cambiato i suoi propositi. Le rammentava l’esperienza felice di Paestum,
quando nel periodo tumultuoso della scoperta della necropoli
del Gaudo si era anch’ essa adoperata per la sua salvaguardia.
Georges Vallet e Paola Zancani, due studiosi che avevano avuto,
malgrado l’Accademia dei Lincei, malgrado i Convegni annuali di Taranto,
pochi scambi nella loro vita. Tuttavia, oltre alla qualità delle
sue ricerche, Donna Paola ci teneva a sottolineare lo spirito organizzativo
di Georges Vallet; essa considerava la creazione del Bérard
come una delle sue opere più riuscite; amava ricordarlo anche come
direttore dell’Istituto francese di Napoli, a cui aveva a suo tempo regalato
una parte della sua raccolta di letteratura straniera. Il suo legame
con il Palazzo di via Crispi le aveva fatto desiderare di offrire
la sua bella biblioteca al Centro Jean Bérard. Non ebbe il tempo di
farlo. L’ultima visita di Georges V allet al Pizzo era tesa a realizzare
questo suo generoso progetto.
Ora che l’invito di amici sorrentini mi costringe a rievocare in
queste brevi pagine un uomo, che non solo mi fu caro, ma la cui presenza
e il cui insegnamento hanno avuto su di me, come su più generazioni
di studiosi, un’influenza non minore degli scritti che ci ha lasciato,
mi viene in mente, più che gli aspetti salienti della sua lunga e
diversificata attività scientifica, il ricordo del suo profondo amore per
l’Italia. Ha dedicato a questo paese che considerava suo e al mondo
archeologico italiano l’intelligenza delle sue ricerche e tanti anni fecondi
della vita.
Nel ripercorrere, come mi è capitato in questi giorni, la bibliografia
di Georges Vallet, si evidenzia quest’amore basilare nella sua
vita impegnata, durante la quale gli interessi dell’uomo e dello studioso
non sono mai stati distinti. Dal primordiale interesse per gli
studi latini e romani, per Tito Livio, da quelli per Megara che dagli
anni ’50 divenne il centro dei suoi pensieri, ma anche uno dei suoi
crucci, dal suo costante interesse per l’archeologia e la storia della Sicilia
e della Magna Grecia che fu quello di tutta la sua vita, si coglie
l’itinerario eccezionale ed esemplare di un uomo che diede una svolta
essenziale alla collaborazione italo-francese le cui tappe sono note a
tutti. Ne.I corso degli anni, altri interessi si sposarono ai primi orientamenti
scientifici: le memorie dei viaggiatori francesi del ‘700 e
dell’ ‘800, i Musei e la loro fruizione, i parchi archeologici, la storia e
la difesa del territorio. Per ultimo è nato lamore per la Penisola sorrentina,
dove si congiungevano tutti gli altri interessi. Quelli per una
grecità complessa, per un territorio aperto ai commerci marittimi, per
un paesaggio segnato dal ricordo di tanti. Qua ritrovava l’unità storica
del mare e «questa verticalità della storia» che aveva così ben
esplicitato nelle trasmissioni filmate dove assieme a Fernand Braudel
e a Folco Quilici ripercorreva la vita del Mediterraneo.
Da Turro o da Pastena si sentiva naturalmente spinto a operare
per il recupero culturale di questa terra privilegiata. Ebbe piacere,
nella preparazione della recente Mostra di Sorrento presso Villa Fazzoletti,
a delineare di suo pugno i diversi capitoli del catalogo che
vennero affidati a studiosi e a ricercatori della Penisola. Mai visitò
tanti scavi, mai scese in tanti scantinati in ristrutturazione che rivelavano
dati topografici importanti per la pianta urbana di Sorrento e
dei suoi monumenti pubblici come in questo periodo. Generoso del
suo tempo e dei suoi consigli era disponibile, a volte troppo, alle sollecitazioni
di tutti.
Questo perché era persuaso che si può lavorare insieme in maniera
disinteressata e che la comunità culturale nascerà come risultante
naturale di questa collaborazione nel senso più giusto della parola.
Il pieno accordo con i responsabili italiani della ricerca era alla
base di ogni suo programma e di quello del Centro che aveva creato
nel lontano 1966 a Napoli. A questo spirito aveva improntato l’insegnamento
che aveva dato ai suoi collaboratori.
«Que doit étre, du moins selon moi, une équipe de chercheurs (mieux
qu’une équipe de recherche) travaillant hors des frontières? Un groupe de
spécialistes (historiens, archéologues, géographes, économistes . . . ) des grands
problèmes que pose l’Histoire au sens global du mot, du pays hòte – mieux –
qu’étudient les chercheurs du pays’ hòte … Une équipe de chercheurs à l’étranger
n’est pas un laboratoire compact, avec ses règles et ses modèles mé-
tropolitains> sa hiérarchie, mais un ensemble de compétences individuelles
qui a l’intérieur d’un créneau scientifique parfaitement défini (cela est l’essentiel)
s’insèrent parfois isolément, mais de façon durable, dans un «Programme
commun».
Il nuovo incarico che gli aveva affidato il Centro Universitario
Europeo per i Beni Culturali di Ravello, la cui attività, con uno
sguardo discreto, seguiva da tempo, collocava in un quadro di europeismo,
al di fuori da stretti confini nazionali, tutta la sua filosofia
delle ricerca. Sotto la sua guida si potevano sperare importanti risultati
tanto sul piano scientifico che su quello della collaborazione internazionale.
Già aveva molto incoraggiato il tema di ricerca sul!’ archeologia
e le scienze della terra e dei vulcani, campo in cui gli specialisti
di varie formazioni ed origini potevano confrontarsi. La Campania,
regione drammaticamente privilegiata, poteva aspirare ad un
ruolo di primo piano. Insisteva perché i programmi del Centro fossero
pluridisciplinari, con vere integrazioni degli apporti delle scienze
dell’uomo e della natura. Il suo entusiasmo d’uomo e di studioso si
rallegrava del rinnovato impegno, nell’«Esprit de Ravello», per una
delle linee direttrici delle attività del Centro per il prossimo decennio:
lo studio e la tutela dei valori ambientali diffusi.
Georges Vallet è stato un uomo autentico. Un uomo dalla parola
giusta, schietto nei suoi giudizi, nelle sue molte amicizie, nelle sue
antipatie, poche ma radicate, tenaci, convinte; erano prodotte dalla
tristezza di vedere che la sua generosità non era sempre corrisposta,
che le promesse non erano mantenute e che le meschinità, «les
méchancetéS», erano spesso capaci di frenare l’impegno generoso e
fecondo.
Tra le molte immagini che affiorano improvvise dal profondo
della memoria lo vedo mentre conversa con alcuni amici, nel caldo
del!’ autunno, sul terrazzo di Pastena, Thapsos coricato ai suoi piedi.
Credo che non gli dispiacerebbe essere ricordato così, quando nella
quotidianità umile della vita ci offriva uno di questi momenti irripetibili
di cui gli siamo grati.