di lucio esposito sara ciocio
Sorrento, 20 giugno 2023 – Prosegue l’impegno per la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della città. Dopo il restauro dei bassorilievi del X secolo, si è concluso con successo il recupero dei pilastri nello scalone del Vescovado. L’iniziativa, promossa dal Centro Bartolommeo Capasso e diretta dal presidente Enzo Puglia, ha visto il coinvolgimento di numerosi esperti e associazioni locali.
L’evento di presentazione del restauro ha avuto luogo nella cattedrale medievale di Sorrento, luogo in cui si trovano i pilastri, posti tra i due bassorilievi già restaurati. L’introduzione dell’intervento è stata affidata proprio a Enzo Puglia, che ha tracciato le fasi salienti del progetto, lasciando poi spazio ai contributi degli esperti. Alessandra Cacace ha illustrato le modalità tecniche del restauro, mentre il professor Vincenzo Russo ha inquadrato storicamente l’opera, facendo riferimento anche al volume postumo di Mario Russo dedicato all’antica cattedrale di Sorrento.
Un progetto nato dalla passione e dalla collaborazione
L’idea del restauro dei pilastri, così come quella dei bassorilievi, è stata proposta alcuni anni fa dalla socia Maria Grazia Spano. Grazie al suo entusiasmo, il Centro Capasso ha avviato il progetto, ottenendo la collaborazione del club Inner Wheel di Sorrento, presieduto allora da Maria Teresa Fiorentino. Tuttavia, prima di procedere con il recupero dei pilastri, si è reso necessario un intervento strutturale: la messa in sicurezza della parete su cui erano murati.
Questa operazione ha richiesto l’installazione di un architrave in acciaio, la cui progettazione è stata curata gratuitamente dall’ingegnere Gianluca Cuomo. La posa dell’architrave, iniziata il 30 ottobre 2024, ha comportato costi significativi, ma grazie al supporto di Enzo Man, amico dello storico Mario Russo, l’ostacolo economico è stato superato. Fondamentale anche l’intervento di Alessandra Cacace, che insieme al Centro Capasso ha coordinato le risorse disponibili. I lavori sono stati eseguiti dall’azienda Aga Costruzioni di Giuseppe Arpino, contattata grazie alla mediazione dell’ingegnere Giovanni Guarracino, socio del Centro Capasso.
Un impegno condiviso per la cultura
Superata la fase strutturale, il restauro vero e proprio dei pilastri è stato realizzato sotto la supervisione della Soprintendenza competente. Mimmo Torre ha seguito con attenzione ogni fase dell’intervento, che si è concluso con successo in pochi mesi.
Sul fronte economico, oltre al supporto del Centro Capasso, il restauro ha ricevuto un prezioso contributo dalle Amiche del Museo Correale, che per la prima volta hanno finanziato il recupero di un’opera al di fuori del museo stesso. Inoltre, alcuni privati hanno offerto generose donazioni: Lucio Esposito, Maria Teresa Fiorentino e Giovanni Guarracino.
Un patrimonio restituito alla città
Nel corso della presentazione, sono stati rivolti ringraziamenti anche ai rappresentanti dell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare, tra cui Don Pasquale Vanacore, Don Antonino D’Esposito e il parroco della cattedrale Don Mario Cafiero. Il loro supporto logistico e organizzativo ha permesso la realizzazione del restauro e l’evento di inaugurazione.
Grazie all’impegno di tutti, i pilastri restaurati sono ora nuovamente visibili e fruibili dai visitatori, contribuendo a valorizzare un’area già ricca di tesori artistici e culturali. La cattedrale medievale, la grande biblioteca, il prezioso archivio diocesano e l’appartamento storico dei vescovi sorrentini costituiscono un polo di straordinario interesse storico, ulteriormente arricchito da questo nuovo intervento di conservazione.
Con questa operazione, Sorrento si conferma una città attenta alla tutela del proprio patrimonio, riconoscendo l’importanza della memoria storica e della bellezza artistica per le generazioni future.
L’Arcivescovo della diocesi di Sorrento-Stabia, Monsignor Francesco Alfano, ha preso la parola con parole di grande ispirazione, sottolineando il valore dello stupore dinanzi alla bellezza recuperata grazie all’impegno di tanti.
“Lo stupore,” ha affermato Monsignor Alfano, “ci consente di apprezzare, di vivere e anche di pensare al futuro in modo positivo. In un tempo così oscuro come quello che stiamo vivendo, lo stupore culturale, sociale e religioso può essere una piccola ma concreta via per aprirci alla speranza. Noi così diamo il nostro contributo, facendo ognuno la propria parte.”
Le sue parole hanno risuonato con forza tra i presenti, evidenziando il ruolo della cultura e della memoria come strumenti di rinascita e di crescita per l’intera comunità. Il recupero di questi beni non è solo un atto di conservazione, ma un atto di amore e responsabilità verso il futuro, affinché le nuove generazioni possano riconoscerne il valore e mostrare gratitudine per chi si è impegnato a restituire loro un patrimonio tanto prezioso.
L’evento ha rappresentato un momento di profonda riflessione e condivisione, con la consapevolezza che il passato non è solo una testimonianza da custodire, ma un’eredità viva da trasmettere con orgoglio e rispetto. Il cammino intrapreso è un segno tangibile di impegno e speranza, affinché la bellezza ritrovata diventi fonte di ispirazione per il domani.
Giuliana Pegge Presidente de “Le Amiche del Museo Correale”
Leamiche del Museo Correale in questa parte del restauro perché noi siamo sempre pronte e entusiaste di partecipare a qualcosa che porti ad aumentare la bellezza della nostra città e dei nostri beni. La bellezza può fare solo bene, e noi siamo felici, nel nostro piccolo, di aiutare in qualche modo a questo. Grazie ancora di averci coinvolto.
Conoscere e valorizzare la bellezza del nostro patrimonio artistico e culturale è un dovere e un piacere. Il Museo Correale rappresenta un punto di riferimento per la nostra comunità e per tutti coloro che visitano la nostra città, e ogni intervento di restauro contribuisce a mantenerne intatto il fascino e la storia.
A questo punto credo che possiamo guardare con orgoglio a quanto realizzato finora e continuare con entusiasmo nel percorso intrapreso. Ringrazio ancora tutti coloro che hanno reso possibile questo restauro e che, con la loro passione e dedizione, contribuiscono ogni giorno alla tutela del nostro patrimonio.
La relazione della restauratrice Cacace
La restauratrice Alessandra Cacace ha illustrato nel dettaglio le fasi dell’intervento di restauro, sottolineando la complessità e la delicatezza delle operazioni svolte. Poiché il tipo di intervento richiesto andava oltre le competenze specifiche dei restauratori, il loro compito è stato principalmente quello di assistere l’impresa e garantire la messa in sicurezza delle strutture coinvolte.
Dopo aver messo in sicurezza lo scalone e le amazzonomacchie, è iniziata la rimozione della muratura per creare l’alloggio destinato alla piattabanda. Durante questa fase, è emersa una decorazione con un motivo a spame a barchetti, con una cuspide caratterizzata da una foglia lanceolata con nervatura centrale. Questo elemento decorativo, rimasto inalterato nel tempo, occupa solo la parte alta del pilastrino, mentre la sezione inferiore è liscia e priva di decorazioni.
Una volta aperto il varco nello scalone, si è reso necessario l’inserimento di puntelli a croce per sostenere l’architrave durante le fasi di lavorazione. L’intervento ha portato alla luce una decorazione a rombi con una rosetta centrale, mentre un lato risultava privo di decorazione, probabilmente perché addossato a una parete. In fase di restauro, è stata rimossa la stuccatura che collegava l’architrave al pilastrino superiore, permettendo di rivelare iscrizioni che sono state documentate attraverso calchi in silicone per futuri studi.
Successivamente, si è proceduto alla messa in opera della piattabanda, con il fissaggio di staffe per l’ammorsatura dell’architrave. Il lavoro degli operai di Aga si è rivelato impeccabile, dimostrando grande competenza nella gestione di elementi antichi. Una volta completata questa fase strutturale, è stato possibile avviare il restauro vero e proprio.
L’operazione di pulitura non si è rivelata particolarmente complessa, poiché i marmi erano rimasti protetti all’interno dell’edificio per lungo tempo. Si è optato per un trattamento chimico blando con sali organici applicati a pennello per rimuovere lo sporco più superficiale. Tuttavia, la parte più impegnativa è stata la rifinitura meccanica delle aree murate, che presentavano residui di malta e terra incrostata. Gli intagli più profondi hanno richiesto un intervento meticoloso con bisturi e spazzolini.
Durante il restauro, è emerso un dettaglio interessante nella decorazione interna del pilastrino, dove una croce è inserita all’interno di una cornice circolare. I due pilastrini laterali si presentano quasi identici, con minime variazioni dimensionali. Sul lato esterno, si ripete un motivo a treccia, visibile anche sulla faccia interna nonostante la difficoltà di documentazione fotografica.
In alcune aree, era presente una pittura nera applicata sulla parte basamentale per creare continuità con la zoccolatura in marmo. La rimozione di questo strato si è rivelata particolarmente complessa, richiedendo l’uso di solventi specifici.
Un’altra scoperta interessante riguarda la decorazione sottostante l’architrave, che presenta un tralcio animato simile a quelli conservati presso il Museo Correale. In un’area sottostante, è stata individuata una decorazione abbozzata, il cui significato e funzione restano ancora oggetto di studio.
Infine, si è proceduto con l’intervento di stuccatura per reintegrare le parti mancanti, utilizzando una malta a base di calce e polvere di marmo, adeguata al colore originario. La cuspide dell’altro lato, ormai deteriorata, non è stata ricostruita in conformità alle direttive della Soprintendenza.
L’intervento si è concluso con le rifiniture finali, tra cui l’intonacatura e l’imbianchitura, per garantire una presentazione estetica adeguata. Il risultato finale restituisce all’osservatore un’opera restaurata con cura e rispetto per la sua storia, pronta per essere apprezzata nel suo rinnovato splendore.
Intervento di Don Antonino D’Esposito responsabile dei beni ecclesiastici della Diocesi
Don Antonino D’Esposito, responsabile dei beni ecclesiastici della Diocesi, ha condiviso una riflessione profonda sull’importanza della conservazione e del restauro del patrimonio culturale e religioso.
“Io credo che sia qualcosa di bello, anche perché le pietre parlano. Poter recuperare e fermarsi su un particolare permette di scoprire che, a volte, nel frammento si riflette l’intero. Un’iscrizione, una decorazione, persino una lapide possono raccontare storie di chi le ha realizzate, dei loro pensieri, delle loro vite. Questo è ciò che mi affascina maggiormente: l’idea che nel piccolo possa rispecchiarsi l’infinito.”
Don Antonino ha sottolineato la necessità di un approccio concreto nel recupero e nella valorizzazione di questi beni: “È sempre lodevole poter restaurare, ma bisogna essere concreti. Le buone idee e i propositi sono importanti, ma serve anche un impegno reale per portare a termine le opere. Il sostegno economico e la collaborazione di tutti diventano elementi essenziali in questi progetti.”
Parlando della conservazione delle cattedrali medievali, ha fatto notare come la loro attuale condizione dipenda spesso dagli eventi storici e geografici: “Alcune cattedrali medievali sono meglio conservate rispetto ad altre perché in certi luoghi non ci sono stati eventi sismici devastanti, oppure perché le città, economicamente meno floride, sono rimaste ferme nel tempo, mantenendo intatto il loro patrimonio. Pensiamo a San Gimignano, che ha conservato il suo splendore proprio perché, a un certo punto, le vie del commercio e della comunicazione si sono spostate altrove.”
Infine, ha ribadito la bellezza del riconoscere, nel frammento, un riflesso di una realtà più grande: “Anche un piccolo specchio d’acqua può contenere l’immagine del cielo intero. Così, nel recupero di un dettaglio, possiamo ritrovare l’essenza di un’intera opera.”
Il suo intervento si è concluso con un ringraziamento a tutti coloro che si impegnano nella tutela del patrimonio ecclesiastico e culturale, affinché la storia, la memoria e la bellezza di questi luoghi possano continuare a parlare alle generazioni future.
Relazione del prof Vincenzo Russo
Buonasera e benvenuti a questo incontro culturale promosso dal Centro Studi e Ricerche Bartolomeo Capasso, in collaborazione con l’Associazione Amiche del Museo Correale e con l’Ufficio Beni Culturali della nostra Arcidiocesi.
Questa occasione rappresenta un evento speciale e di grande importanza, in quanto vengono offerti al pubblico preziosi reperti dell’arredo alto medievale della cattedrale di Sorrento, ora restituiti alla loro originaria bellezza. È anche un momento speciale perché possiamo idealmente immaginare presente tra noi un amico speciale, un indimenticabile studioso che sarebbe stato certamente entusiasta di questo accurato restauro.
Cercherò di offrire un contributo breve, consapevole della vostra pazienza e attenzione, delineando alcuni momenti storici della comunità cristiana sorrentina e della sua cattedrale a partire dalla seconda metà del I secolo, o almeno per come credo si possa ricostruire questa vicenda storica.
La seconda metà del III secolo d.C. è nota come l’epoca degli imperatori di nomina militare, generali acclamati dall’esercito, spesso costretti a combattere contro le incursioni barbariche ai confini dell’Impero. Questo periodo fu caratterizzato anche da numerose persecuzioni cristiane, come quelle sotto Decio, Valeriano e Diocleziano.
Se osserviamo la Penisola Sorrentina, possiamo ipotizzare che già nel I secolo si formarono piccole comunità cristiane tra Stabia e Sorrento. Abbiamo infatti una testimonianza di un’antica area cristiana sotto l’attuale cattedrale di Stabia, databile tra la fine del III e gli inizi del IV secolo. A Sorrento, invece, si ha notizia di alcuni martiri cristiani, probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano del 303 d.C.
È chiaro che, in questo contesto, la comunità cristiana sorrentina del III e IV secolo doveva essere cauta e attenta, e non vi erano ancora le condizioni per la creazione di una diocesi né per la costruzione di una cattedrale vera e propria.
Con l’Editto di Costantino del 313 e successivamente con le politiche favorevoli di Graziano e Teodosio, culminate con l’Editto di Tessalonica del 380, il cristianesimo venne dichiarato religione ufficiale dell’Impero. Fu solo tra la fine del IV e gli inizi del V secolo che la comunità cristiana sorrentina sentì l’esigenza di eleggere un vescovo. Questo non solo per l’aumento dei fedeli, ma anche perché la comunità sorrentina, geograficamente isolata, necessitava di una guida religiosa locale.
Durante i primi secoli, la vita religiosa della comunità sorrentina si svolgeva in piccoli luoghi di culto. Un esempio è la chiesa rupestre dedicata a San Renato, mentre la chiesa madre non era ancora una vera cattedrale, bensì un edificio di culto semplice e privo di arredi marmorei imponenti.
La costruzione di una vera cattedrale è generalmente collocabile nel VI secolo. Tuttavia, le condizioni socioeconomiche dell’epoca non erano favorevoli: la Campania viveva una crisi economica aggravata dalle incursioni barbariche e dalla lunga e devastante guerra gotica (535-553). Questo scenario di miseria e disgregazione sociale ci porta a ipotizzare che la costruzione della cattedrale sia avvenuta più avanti nel tempo, tra il VI e il VII secolo.
In questo periodo, il culto di San Renato e di San Valerio era particolarmente diffuso. Nei pressi dell’attuale cimitero esisteva già una cappella rupestre dedicata ai due santi, e la stessa cattedrale potrebbe essere stata inizialmente intitolata a loro. Nel 645, il vescovo Agapito si ritirò in preghiera nella cattedrale con un gruppo di fedeli per chiedere la liberazione della città dall’assedio del Duca beneventano Radaldo, episodio documentato in un’omelia scritta secoli dopo.
Dal VIII secolo fino ai primi decenni del IX secolo, la storia di Sorrento è avvolta nell’oscurità. Non vi sono reperti archeologici significativi né documenti storici che possano illuminare questo lungo periodo. Tuttavia, è probabile che la città abbia continuato a far parte del Ducato bizantino di Napoli, il quale si andava progressivamente sganciando dal potere centrale di Costantinopoli.
Sul finire dell’VIII e agli inizi del IX secolo, un’omelia in onore dei Santi Renato e Valerio testimonia l’importanza del loro culto nella città. È in questo periodo che compaiono i primi marmi decorati con simboli cristiani, segno che la cattedrale iniziava ad arricchirsi di un arredo marmoreo più strutturato.
Nel IX secolo si ha la presenza di almeno due vescovi: Landolfo e Stefano (872-875). Quest’ultimo fu coinvolto in una grave disputa con i nobili locali, che lo costrinsero all’esilio, lasciando la sede vescovile vacante per quasi quarant’anni.
Con l’inizio del X secolo, la cattedrale di Sorrento visse un nuovo periodo di sviluppo. Uno dei reperti più famosi di quest’epoca è la mensola con l’iscrizione “Adorem Santorum Dei Renati Valeri”, databile tra il IX e il X secolo. Questo manufatto, probabilmente parte di un protiro all’ingresso della chiesa, attesta il consolidamento del culto dei santi Renato e Valerio.
Nel corso dell’XI secolo, due eventi segnano profondamente la storia religiosa e politica di Sorrento: l’elevazione della sede vescovile a dignità metropolitana e l’emancipazione del Ducato Sorrentino dal Ducato di Napoli. Questi cambiamenti ebbero un impatto significativo anche sulla cattedrale, che in questo periodo vide un incremento della produzione e dell’uso di arredi marmorei.
Concludendo, la storia della cattedrale di Sorrento, attraverso i secoli, riflette non solo l’evoluzione della comunità cristiana locale, ma anche le profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali della città. Il recupero e il restauro dei reperti marmorei che oggi possiamo ammirare rappresentano un importante tassello per la conservazione della memoria storica e artistica del nostro territorio.
Le prime produzioni marmoree della Cattedrale di Sorrento ammontano a circa cinquanta pezzi, tutti databili intorno all’anno 1000, dunque appartenenti all’epoca alto-medievale.
Tra questi, vi è un marmo che probabilmente delimitava un’area riservata alle ragazze, come suggerisce l’incisione della parola “virginibus” sul bordo. Alcuni disegni, tratti dal libro di Mario Russo, consentono di completare idealmente i frammenti esistenti, permettendo di visualizzare meglio l’originale decorazione marmorea. Un esempio significativo è costituito dai due ippogrifi affrontati posti ai lati dell’albero della vita.
Un altro frammento rilevante è una zampa di leone, che trova corrispondenza in altri reperti, permettendo di ricostruire un insieme coerente. Questo elemento fa parte di una leonessa collocata all’ingresso della Cattedrale. Secondo l’ipotesi avanzata da Mario Russo, potrebbe essere stata parte integrante del trono arcivescovile. Infatti, proprio in questo periodo storico viene costruito un ambone alla romana, arricchito da numerose formelle decorative.
Un altro pezzo significativo è la testa della leonessa, che potrebbe aver fatto parte di un lettorino posto alla sommità dell’ambone, il luogo dal quale il predicatore pronunciava i sermoni. Tra le decorazioni dell’ambone si segnalano inoltre formelle raffiguranti una pistrice su marmo triangolare, identificata come la spalletta destra, e altri elementi decorativi di pilastrini e capitelli, alcuni dei quali si possono ancora oggi scorgere in giro per la città, murati in edifici storici.
La riconsacrazione della Cattedrale ai santi Filippo e Giacomo, avvenuta probabilmente il 16 marzo 1113, rappresenta un momento cruciale della sua storia. Tale datazione è stata suggerita da uno studio condotto dal professor Ramakers, il quale ha individuato elementi convincenti a supporto di questa ipotesi. Contestualizzando storicamente il periodo, si osserva un’interessante coincidenza con un documento noto come l’Exultet di Montecassino, un rotolo liturgico che riportava scene della Passione di Cristo. In esso sono raffigurati il duca Sergio I e il duca Sergio II ai lati dell’imperatore bizantino Alessio I Comneno, insieme ad altri personaggi ecclesiastici e politici dell’epoca. Questa rappresentazione sottolinea l’importanza del legame tra il potere politico e quello religioso, un connubio che trova conferma nella solenne cerimonia di riconsacrazione della Cattedrale.
La trasformazione della Cattedrale e il destino dei suoi marmi sono strettamente legati ai mutamenti culturali successivi. Con l’avvento del periodo umanistico-rinascimentale, il Medioevo viene percepito come un’epoca oscura, intermedia tra la grandezza del mondo romano e la sua rinascita artistica e culturale. Ciò porta alla rimozione di numerosi elementi decorativi medievali. Nel 1479, l’arcivescovo Giacomo De Sanctis avvia un primo intervento, aprendo una porta laterale in stile rinascimentale. Successivamente, nel 1492, l’arcivescovo Nardo Mormile attua un rifacimento radicale della Cattedrale, demolendola completamente e ricostruendola ex novo. I marmi medievali vengono accatastati tra l’ingresso della Cattedrale e il palazzo arcivescovile, riutilizzati nel corso del tempo come soglie, stipiti e lastre tombali.
Un esempio di reimpiego di questi marmi è documentato durante il periodo dell’arcivescovo Pavesi, quando, dopo un’incursione turca, tre di questi elementi vengono utilizzati per la costruzione dello scalone dell’episcopio. Il restauro di tali reperti costituisce un’iniziativa di grande valore storico e culturale, meritevole di riconoscenza da parte di tutti coloro che amano il patrimonio artistico della città di Sorrento.
Centro di Studi e Ricerche “B. Capasso” di Sorrento
Associazione “Le Amiche del Museo Correale”
Ufficio BB. CC. dell’Arcidiocesi di Sorrento – Castellammare di Stabia
presentano IL RESTAURO dei pilastrini della cattedrale medievale di Sorrento murati nello scalone dell’episcopio
Centro Studi e Ricerche Bartolommeo Capasso
Sabato 22 marzo 2025, ore 16.30
Sala Tomista Palazzo arcivescovile di Sorrento
dopo i saluti e la relazione del restauro
Vincenzo Russo parlerà su
La Chiesa sorrentina e i marmi della sua Cattedrale dall’Alto Medioevo al Cinquecento
Sarà presente l’Arcivescovo mons. Francesco Alfano
La cittadinanza è cordialmente invitata
Il Presidente del Centro “Bartolommeo Capasto” Enzo Puglia
II Responsabile dell’Ufficio BB CC dell’ Arcidiocesi don Antonino D’Exposito
La Presidente dell’ Associazione”Le Amiche del Museo Correale Giullana Pegge
Intervista al Prof Vincenzo Russo dall’inviato di Positanonews
Buonasera e bentrovati con il professore Vincenzo Russo, oggi ospite nella sala Tomisti del Palazzo Vescovile.
Professore, può dirci qualcosa in merito alla storia dei marmi della cattedrale?
“Dunque, cercherò di collegare la storia dei marmi della cattedrale con un’interpretazione storica. È importante avere una visione più chiara di come questi reperti siano giunti fino a noi. Molti si chiedono perché questi marmi si trovino qui, chi li abbia raccolti e quando sia avvenuto il loro recupero. In passato, alcuni pezzi sono stati purtroppo dispersi, mentre altri sono stati riutilizzati per scopi edilizi. Ad esempio, una colonna di quel periodo veniva spesso ridotta in calce per la costruzione di nuove abitazioni.”
A tal proposito, vogliamo ricordare il grande volume postumo pubblicato da Mario Russo, un’opera che ha richiesto un notevole impegno di ricerca. Professore, avete collaborato anche voi alla pubblicazione?
“Sì, ho avuto l’onore di curare un’edizione, un lavoro che ha richiesto molta fatica. Ho dovuto raccogliere e organizzare tutte le sue carte, i suoi appunti e le fotografie, che erano distribuite su tre computer e quattro scrivanie. È stato un processo lungo e complesso, ma necessario per preservare il suo lavoro.”
Questa sera, durante l’evento, saranno proiettate immagini tratte dal libro. Sarà un’occasione per ricordare il grande contributo di Mario alla ricerca storica. “Certamente. Sarà un modo per onorare il suo impegno e la sua passione per la storia.”
Grazie, Professore. Le auguriamo il meglio per la serata e per i suoi studi futuri. “Grazie a voi. Crepi il lupo!”