Inaugurazione pannelli restaurati nello scalone dell’Episcopio di Sorrento

8 giugno 2023 | 12:47
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Martedì, 20 Giugno 2023, ore  18:00, Inaugurazione pannelli restaurati nello scalone dell’Episcopio di Sorrento con la presenza del Vescovo Monsignor Francesco Alfano.

I lavori di restauro, auspicati già da Paolo Mingazzini negli anni quaranta del secolo scorso, eseguiti da Andrea Porzio e Alessandra Cacace, hanno restituito alla comunità pezzi unici di grande bellezza. Sponsor di quasta operazione sono il Centro Studi e ricerche Bartolommeo Capasso diretto da Enzo Puglia e dall’ Inner Wheel Club di Sorrento presieduto da Mariateresa Fiorentino.

Nel mentre si lavorava sul pianerottolo dello scalone del Vescovado, ai due marmi  delle Amazzonomachie, ci si è interrogati sui pilastrini e architrave, anch’essi murati, stonacare per meglio leggere le facce laterali non visibili. Ebbene, sono venute fuori altri interessanti elementi decorativi che aprono a nuovi orizzonti storici e archeologici. Per meglio comprendere tutta la dinamica storica del come e perchè si trovano questi marmi li murati, proponiamo la lettura del saggio di Ebanista e Laudonia.

Nuovi materiali per il corpus della scultura altomedievale di Sorrento* Carlo Ebanista, Teresa Laudonia

Disiecta membra: fra conservazione e dispersione

La recente disamina di alcuni inediti marmi di VI-VII secolo e IX-X secolo, provenienti dalla catacomba di San Gennaro a Napoli1 e dal santuario martiriale di Cimitile2 , fornisce lo spunto per riprendere il discorso sulla scultura altomedievale di Sorrento, a distanza di un quindicennio circa dalla pubblicazione degli elementi di arredo liturgico conservati nel monastero di Santa Maria delle Grazie3 (fg. 1, n. 7). L’individuazione di marmi sinora mai analizzati mi consente di ritornare sull’argomento, anche alla luce delle nuove conoscenze nel frattempo acquisite4 , e di contribuire a riavviare la discussione sulla scultura sorrentina altomedievale che è individuata da manufatti, perlopiù frammentari, distribuiti tra vari edifci della città (cattedrale, campanile, episcopio, monastero di Santa Maria delle Grazie, abitazioni in piazza Tasso e via Sant’Antonino, Hotel Vittoria; fg. 1, nn. 1-7) ed esposizioni museali locali (Museo Correale di Terranova; fg. 1, n. 12), di Roma (Museo Barracco), Berlino (Staatliche Museen), Washington (Dumbarton Oaks Collection) e New York (Metropolitan Museum). Poiché nessun elemento è rimasto in situ, l’ipotesi più accreditata è che, almeno in parte, si tratti dell’arredo scultoreo della cattedrale altomedievale che doveva essere collocata nell’area di quella attuale, dedicata ai Santi Filippo e Giacomo5 (fg. 1, n. 4). Sulla data di costruzione di quest’ultimo edificio la critica è in disaccordo: se, difatti, non esistono prove certe per assegnarne la fondazione alla tarda antichità, non è neanche credibile la sua edificazione nel XV secolo6 . Non a caso gli Atti delle visite pastorali menzionano diverse cappelle che erano state erette nella chiesa anteriormente al 14507 , mentre un’epigrafe del 1576 ricorda che Roberto Brancia, arcivescovo di Sorrento dal 1390 al 1410, eresse «sacellum hoc in ingressu chori etiam ab eo extructi»8 . Più plausibile è, dunque, l’ipotesi che nel Quattrocento l’edifcio sia stato ricostruito e che i pilastri delle navate racchiudano probabilmente le colonne della chiesa più antica9 . Attribuendo al protiro della cattedrale la mensola-architrave con dedica ai Santi Renato e Valerio (IX-X secolo) (fg. 2), che è murata alla base del campanile della chiesa vescovile (fg. 1, n. 6), Mario Russo ha supposto che l’edifcio altomedievale fosse dedicato ai due martiri sorrentini e che solo agli inizi del XII secolo venne consacrato ai Santi Filippo e Giacomo10. D’altra parte l’arrivo di una reliquia dell’apostolo Giacomo, portata dal cardinale Pietro Capuano verso il 1210 al ritorno da Costantinopoli, suggerisce che la cattedrale fosse allora già intitolata ai due apostoli11. Qualora si accertasse effettivamente la provenienza di almeno una parte degli elementi scultorei dalla cattedrale, la dispersione dell’arredo liturgico altomedievale andrebbe ricondotta ai restauri attestati dalle epigraf del XVI secolo e dagli eruditi dei secoli XVIII e XIX12. Lo smembramento ebbe forse inizio con la rimozione del recinto presbiteriale da parte dell’arcivescovo Brancia (1390-1410), durante la risistemazione del coro13, e proseguì nei secoli successivi fno alla defnitiva scomparsa a seguito dei lavori di ricostruzione eseguiti all’indomani dell’incursione turca del 13 giugno 155814. L’anno successivo l’arcivescovo Giulio Pavesi (1558-71) collocò due campane nel campanile15 e – come attesta un’iscrizione affssa all’esterno dello scalone dell’episcopio – provvide alla ricostruzione del palazzo arcivescovile16. Nel 1567 il presule, come si dirà, fece murare tre pilastrini dell’arredo scultoreo altomedievale (fg. 3) nello scalone dell’episcopio (fg. 1, n. 5).

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Sette anni dopo, invece, un frammento di pluteo con albero (fg. 4a) venne riutilizzato per ricavarne l’iscrizione del sepolcro (fg. 4b) che Berardina Donnorso, fondatrice del monastero di Santa Maria delle Grazie, fece approntare per sé nella chiesa del cenobio17 (fg. 1, n. 7). Tra la fne del XVI secolo e gli inizi del XVIII alcuni arcivescovi di Sorrento si distinsero per la meritoria opera di conservazione del patrimonio storico-artistico cittadino18. Nel 1585, ad esempio, mons. Giuseppe Donzelli (1574-88) proibì «di vendere o in qualunque modo estrarre i marmi esistenti nella Chiesa e nel palazzo Arcivescovile»19. Anche l’arcivescovo Geronimo Provenzale (1598-1612) si interessò alle ‘antichità’ sorrentine: nel 1599, infatti, fece registrare scrupolosamente negli Atti della visita pastorale i marmi antichi conservati presso i portali della cattedrale e nel portico dell’episcopio: oltre a colonne, capitelli e ‘cantari’20, l’inventario allora redatto menziona anche «sei pezzi di marmo bianco grossi»21 che sarebbe interessante identifcare con i resti dell’arredo scultoreo altomedievale22. La circostanza che due frammenti di plutei mediobizantini con maglie di losanghe furono utilizzati come gradini d’accesso alla sagrestia della cattedrale, fatta edifcare da Provenzale nel 1608, sembra, però, indicare che a quel tempo soltanto i manufatti d’età classica fossero ritenuti degni d’attenzione23. Particolare impulso alla raccolta degli elementi scultorei e delle epigraf venne dato, a quanto sembra, dall’arcivescovo Filippo Anastasio (1699-1724), che, però, non può essere considerato l’iniziatore della collezione sistemata alla base del campanile della cattedrale24 (fg. 1, n. 6). Anzi proprio a partire dal XVIII secolo oltre alla torre campanaria e all’episcopio (fg. 1, n. 5), anche il sedile Dominova (fg. 1, n. 10) accolse frammenti di antiche sculture25. Poco prima del 1743, presso l’arcivescovado si conservavano «several inscriptions and fne reliefs and two ancient altars»26.

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Nel descrivere la cattedrale, gli eruditi settecenteschi non forniscono indicazioni sull’arredo scultoreo altomedievale27, a testimonianza dell’avvenuta scomparsa e/o del disinteresse per i manufatti d’età postclassica. Nel 1769 un pilastrino marmoreo di età mediobizantina venne murato nel cantonale dell’edifcio ubicato all’angolo tra piazza Tasso e via Sant’Antonino28 (fg. 1, n. 3). Maria Teresa Tozzi, senza citare la fonte, riferisce che gli elementi scultorei dal campanile della cattedrale (fg. 1, n. 4) furono trasferiti nel 1803 nel sedile Dominova29 (fg. 1, n. 10). La notizia è, però, inesatta poiché diverse testimonianze degli anni Venti e Quaranta dell’Ottocento attestano che presso il campanile era ancora murata la base di Augusto, oggi al Museo Correale30. Nel 1843, d’altra parte, «sotto il palazzo arcivescovile» (fg. 1, n. 5) furono trasferiti «i marmi antichi rinvenuti nella Città» a seguito della demolizione del castello di Sorrento, dov’erano stati sino ad allora custoditi31.

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L’interesse delle autorità civili per le ‘antichità’ sorrentine è attestato dal rifuto che nel 1818 il Decurionato oppose alla richiesta del principe di Matera di acquistare alcuni marmi antichi della città32. Nel frattempo fnalmente i resti dell’arredo scultoreo altomedievale richiamarono l’attenzione degli studiosi; fra gli altri manufatti conservati presso la cattedrale sorrentina, Heinrich Wilhelm Schulz, che tra il 1830 e il 1842 condusse uno studio sui monumenti dell’Italia meridionale, ricorda «eine Tafel mit zwei Greifen vor einem Altare, eine andere mit zwei aus einem Brunnen trinkenden Flügelrossen, ein Adler mit ausgebreiteten Flügeln, Paradiesvögel u.s.w.»33. Nel 1864 il consiglio Comunale di Sorrento deliberò che i marmi e le iscrizioni, già affssi ai muri del campanile della cattedrale (fg. 1, n. 5) e nell’atrio di Sant’Antonino (fg. 1, n. 1), fossero riuniti nel sedile Dominova (fg. 1, n. 10); a questi manufatti, due anni dopo, si aggiunsero i marmi provenienti dalla demolizione della porta di Sant’Antonino34. La collezione, onde evitare ulteriori dispersioni, venne inventariata nel 190135 e quindi trasferita, non prima del 1920, nel Museo Correale (fg. 1, n. 12) che fu aperto al pubblico il 10 maggio 192436. Inediti elementi di arredo liturgico: pilastrini e pluteo A Sorrento nel corso di una ricognizione funzionale all’elaborazione del corpus della scultura altomedievale sono stati individuati cinque inediti elementi marmorei: si tratta di un frammento di pilastrino murato in un edifcio di via Sant’Antonino (fg. 1, n. 1), di tre montanti reimpiegati in una porta nello scalone dell’episcopio (fg. 1, n. 5) e di uno spezzone di pluteo custodito in una cappella della cattedrale (fg. 1, n. 4). Il più antico tra questi elementi è il pilastrino (fg. 5) incassato nella muratura presso il piedritto destro della porta di un vano terraneo al civico 15 di via Sant’Antonino37, la stradina che si apre su un piccolo spiazzo, alle spalle della basilica del Santo38.

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Il pilastrino, in marmo bianco, è murato in verticale con il lato sinistro adiacente alla cornice dell’infsso; l’altezza è riscontrabile per 65 cm, dal momento che il montante è coperto dal piano stradale. L’unica faccia riconoscibile (larga 22 cm) è riquadrata da una cornice a tre listelli realizzati ad incisione: quello esterno, largo 3,5 cm e piatto, è ribattuto internamente da uno più stretto (1 cm) e leggermente rialzato che sui lati brevi disegna due semicerchi, formando due omega stilizzate39. L’omega superiore accoglie una croce latina (6,5 x 4,5 cm) al di sopra della quale si trovano due colombe affrontate ad un cantaro molto stilizzato (fg. 6). Lo spazio centrale (6,5 cm), racchiuso tra le due specchiature semicircolari, ha la superfice bombata e i lati brevi leggermente infessi; all’interno è inciso un tralcio costituito da un’unica ramificazione sinuosa con foglioline lanceolate e cuoriformi. Se supponiamo che, al di sotto dell’omega inferiore, ci sia una fascia di 8 cm, uguale alla porzione superiore, il pilastrino dovrebbe misurare complessivamente 73 cm. Tanto per rimanere in Campania, un confronto puntuale si può istituire con un montante reimpiegato nell’altare della cripta della cattedrale di Teano; quest’ultimo, databile tra il VI e il VII secolo, ha in comune con il nostro esemplare la partizione dello spazio e il tralcio, mentre differisce per il motivo a zig-zag inciso sul listello esterno40. Sempre in area campana, un’analoga partizione ricorre su un frammento di pilastrino (V-VI secolo) proveniente dalla catacomba di San Gennaro a Napoli, che risulta, però, privo della decorazione ftomorfa nel listello centrale41. Questo tipo di specchiatura è attestato anche a Roma su pilastrini di V-VI secolo conservati nelle catacombe di San Callisto42 e di Sant’Agnese, nella cappella delle Partorienti nelle Grotte Vaticane e nella basilica di Santo Stefano Rotondo43. Ulteriori confronti possono essere istituiti, limitatamente al tralcio, con un pilastrino di VI-VII secolo custodito nel monastero di Santa Maria delle Grazie a Sorrento (fg. 7), nel quale i girali, molto regolari e ben definiti, accolgono grappoli d’uva e foglie lanceolate o cuoriformi44. Ancora più complesso e articolato è il tralcio che decora due frammenti di pilastrini del santuario di San Felice a Cimitile, anch’essi databili al VI-VII secolo45.

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Tralci stilizzati, che inquadrano scene più complesse, ricorrono, infine, anche su plutei, sarcofagi e paliotti di provenienza campana databili tra il VI e il VII secolo; è il caso, ad esempio, del sarcofago esposto al Museo dell’Agro Nocerino a Nocera Inferiore46, del paliotto d’altare custodito nella cripta del duomo di Nola47 e di una lastra proveniente dalla catacomba di San Gennaro a Napoli48. Nel palazzo arcivescovile di Sorrento (fg. 1, n. 5) si conservano tre inediti pilastrini di età medio bizantina, decorati a rilievo. Poiché sono murati sulla parete di fondo del pianerottolo dello scalone, a formare una porta49, si intravede soltanto una faccia (fg. 3). I due montanti che fungono da stipiti della porta sono realizzati con un marmo bianco con patina tendente al giallo: quello murato a sinistra è alto 261 cm e largo 15 cm, mentre l’altro è alto 262 cm e largo 15 cm. Sono accomunati dalla medesima decorazione costituita da una cornice a doppio listello: quello esterno, largo 3 cm e piatto, presenta tracce di lavorazione, ed è ribattuto internamente da un secondo più stretto (1 cm) con superfice lievemente rialzata, che riquadra un nastro intrecciato a capi binati con bottoni lisci e piatti al centro (fg. 8). Il motivo decorativo a treccia è ben documentato nella scultura mediobizantina campana tra la fne del IX secolo e la fne del X; è il caso, ad esempio, dei pilastrini del protiro della basilica di San Felice a Cimitile50, di un pluteo del Museo Correale51 e dei cancelli di Sant’Aspreno a Napoli, nei quali i nastri, suddivisi in brevi tratti intervallati negli incroci da un motivo vegetale, sono elementi di ripartizione del campo fgurativo a losanghe52. Questo stesso motivo decorativo, stando alle più volte richiamate assonanze con la scultura sarda, ricorre sulla fronte o sui fanchi di alcuni pilastrini prodotti in Sardegna tra la metà del X secolo e i primi decenni dell’XI, sui quali la cornice a listello singolo o doppio accoglie il nastro binato con bottoni lisci o leggermente incavati e trapanati53. Il pilastrino in marmo bianco54, che funge da architrave della porta nello scalone del palazzo arcivescovile (fg. 9), è alto 210 cm e largo 17 cm ed è fratturato in due parti combacianti55: l’unica faccia visibile è stata rilavorata in occasione del reimpiego tranne che nella cuspide56. Quest’ultima, sistemata sulla sinistra, presenta un foro nella parte bassa ed è decorata da una foglia d’acanto carnosa, con nervature interne defnite da solchi paralleli e poco profondi, che ricorda, tanto per rimanere a Sorrento, quelle presenti sulle cuspidi dei pilastrini con tralcio animato del Museo Correale57 (fg. 10).

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Molto differenti risultano, invece, sia per la resa grafca, sia per l’utilizzo del trapano, le foglie d’acanto raffgurate sui due capitelli di fne IX-inizi X secolo sistemati nello scalone dell’episcopio, proprio ai lati della porta tamponata58, e quelle presenti su un coevo frammento di architrave conservato in una collezione privata sorrentina59. Ancora più diverse appaiono le foglie che ornano alcune mensole-architrave di produzione campana: mi riferisco all’esemplare (IX-X secolo) reimpiegato nel campanile della cattedrale di Sorrento60, a quelle dei protiri della cappella dei Santi Martiri e della basilica di San Felice a Cimitile (fne IX-inizi X secolo)61 e a quelle dell’oratorio di Sant’Aspreno a Napoli (seconda metà del X secolo)62. Qualche analogia si rinviene invece con le foglie d’acanto che decorano i capitelli, anch’essi risalenti alla seconda metà del X secolo, provenienti dalla chiesa di San Pantaleo a Dolianova in Sardegna63. In occasione del reimpiego come architrave (fg. 9), la faccia attualmente visibile del nostro pilastrino venne rilavorata in modo da ricavare una decorazione geometrica costituita da quattro rombi lisci64 alternati a tre cartigli (i due laterali di forma rettangolare con i lati arrotondati65 e quello centrale simile ad una tabula ansata)66, nei quali venne incisa un’epigrafe; nel primo cartiglio a sinistra: ANNO·A·NATIVITATE | DOMINI M·D·LXVII (fg. 12a), in quello centrale: F·IVLIVS ·PAVESIVS·BRIXIENSIS·EX | ORDINE·PR(A)EDICATOR(VM)·ASSVMPTVS | POSVIT (fg. 12b), in quello destro ETATIS·EIVS·ANNO·LX° | ARCHIEPIS(COPAT)VS·VERO VIIII (fg. 12c).

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L’iscrizione attesta che nel 1567 i tre pilastrini, forse a seguito della loro rimozione dalla chiesa, trovarono una nuova, degna sistemazione nello scalone dell’episcopio, dove incorniciarono una porta (fg. 3); la collocazione in un punto di passaggio e di particolare visibilità suggerisce che Pavesi avvertì la necessità di tutelare i marmi, fnendo per ricoprire un ruolo importante nella loro salvaguardia67. La porta, che conduceva al giardino dell’episcopio (ubicato tra via Pietà e l’attuale campo sportivo adiacente la cattedrale) e veniva chiusa all’ora di pranzo e di notte68, è oggi murata69. Nel 1567, in contemporanea dunque con il reimpiego dei pilastrini dello scalone, Pavesi indisse un importante sinodo provinciale, nel quale furono stabiliti alcuni provvedimenti che riguardavano la disciplina degli ecclesiastici, la clausura e i riti; in questo clima di rinnovamento il presule si impegnò in prima persona nella promozione di opere materiali, quali la costruzione e l’organizzazione dei monasteri sorrentini e della stessa cattedrale70. È probabile che, in questi anni, alcuni elementi marmorei provenienti dalla cattedrale giunsero nei monasteri interessati dalla riforma: è il caso di Santa Maria delle Grazie (fg. 1, n. 7), dove sono tuttora conservati un pluteo (fg. 4), tre pilastrini e due colonnine71, e di San Paolo (fg. 1, n. 8), dal quale proviene un frammento di pluteo oggi al Museo Correale72. Sulla parete ovest della prima cappella del lato destro della cattedrale è affsso, insieme ad altri manufatti marmorei, un inedito frammento di lastra in marmo bianco, con tessitura cristallina molto compatta, alto 26 cm e largo 33 cm (fg. 11). Il pezzo, mutilo su tre lati, appartiene alla porzione inferiore di un pluteo, con listello alto 5 cm, dal quale si diparte un arbusto con una fogliolina lanceolata ripiegata su se stessa verso il basso. Sul listello, davanti all’arbusto, poggia una zampa robustamente artigliata, nella quale incisioni poco profonde segnano i tendini e l’attacco degli unghioni. Considerata la lacunosità, non è possibile accertare se si tratti di un felino o di un animale fantastico (pistrice, grifo), ma si possono avanzare alcune considerazioni cronologiche e stilistiche. Il frammento, per la posizione della zampa, è accomunabile ai plutei campani dei primi decenni dell’XI secolo, nei quali le zampe poggiano sul bordo inferiore delle lastre, anziché futtuare nel campo centrale, come si riscontra negli esemplari datati tra la fne del IX secolo e la metà del successivo, o sforare il listello come in quelli assegnabili alla seconda metà del X73. Ai primi decenni dell’XI secolo rinvia anche la resa stilistica della zampa.

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Roberto Coroneo, che ha riconosciuto questa evoluzione nell’iconografa, assegna all’XI secolo, se non addirittura al XII74, un frammento oggi custodito al Museo Correale75, con la zampa su una forma curvilinea risparmiata, che è staccata dal bordo inferiore, ma che tuttavia trova stringenti analogie nella resa delle unghie, dei tendini con il nostro esemplare. Minori affnità si rinvengono, invece, con un frammento di pluteo custodito al Museo Correale76 e un secondo esemplare attualmente murato nella controfacciata della cattedrale di Sorrento77, datati alla seconda metà del X secolo a ulteriore riprova evidentemente che il nostro esemplare è più tardo. Qualche rifessione Gli inediti elementi presentati in questa sede contribuiscono ad ampliare le conoscenze sulla scultura altomedievale di Sorrento, rafforzando l’ipotesi della provenienza dell’arredo liturgico (oggi disseminato in vari luoghi della città e in diverse collezioni museali italiane e straniere) dall’ambito della cattedrale dei Santi Filippo e Giacomo (fg. 1, n. 4). In rapporto alla facilità di spostamento dei materiali, non si può, tuttavia, escludere che alcuni fossero originariamente collocati in altri edifci di culto. Solo il rinvenimento di elementi in situ o di tracce in negativo nel corso di auspicabili indagini archeologiche potrebbe, infatti, confermare l’effettiva provenienza dei marmi dall’area della cattedrale. In attesa di procedere al riesame complessivo della produzione scultorea sorrentina d’età altomedievale, ormai non più rinviabile, l’acquisizione dei nuovi dati consente di avanzare alcune considerazioni, in merito alla funzione, alle tecniche di lavorazione, agli ornati e agli aspetti stilistici. Il pilastrino (fg. 6) murato in via Sant’Antonino (fg. 1, n. 1), databile tra VI e VII secolo, toglie dall’isolamento il montante del monastero di Santa Maria delle Grazie79 (fg. 7) che fnora era l’unico lavorato ad incisione, anziché a rilievo. L’ubicazione del manufatto nella stessa strada dove nel 1769, nel cantonale di un edifcio all’angolo con piazza Tasso (fg. 1, n. 3), venne murato un pilastrino marmoreo con tralcio animato non è suffciente ad attestarne la provenienza dalla vicina chiesa di Sant’Antonino, la cui cripta fu ristrutturata tra il 1753 e il 177878. Nell’ambito della produzione scultorea sorrentina i due pilastrini, riutilizzati nel 1567 come stipiti della porta dello scalone dell’episcopio (fg. 3), rappresentano una novità per quanto riguarda la decorazione: il nastro intrecciato a capi binati (fg. 8), che ricorre con frequenza sui montanti mediobizantini di area campana e sarda, era infatti documentato fnora solo su un pluteo conservato al Museo Correale80. L’auspicabile demolizione della tamponatura della porta permetterebbe di esaminare le facce dei pilastrini oggi non ispezionabili, consentendo di rilevare ulteriori affinità o eventuali differenze con gli altri coevi esemplari. Discorso analogo vale per il montante (alto 210cm) che funge da architrave della porta (fg. 9), la cui originaria decorazione si riscontra solo sulla cuspide che, per la presenza della foglia d’acanto, ricorda quella dei pilastrini con tralcio animato (alti 200 e 210 cm) custoditi nel Museo Correale81, ai quali peraltro è accomunato dalle dimensioni. L’altezza di 261-262 cm e l’assenza della cuspide (a meno che non sia stata tagliata in occasione del riuso nel 1567) potrebbero suggerire che i due montanti riutilizzati come stipiti della porta (fg. 3) facevano parte in origine del protiro della cattedrale, insieme alla mensola-architrave (fg. 2) oggi reimpiegata nel campanile e ai due capitelli sistemati sul pianerottolo dello scalone dell’episcopio82. Qualora questa ipotesi fosse accertata, avremmo un quarto esempio di protiro altomedievale in Campania, ancora più monumentale dei due documentati nel santuario di Cimitile (San Felice: montanti alti 200 cm; Santi Martiri: alti 197,5-200 cm) e di quello dell’oratorio di Sant’Aspreno a Napoli (pilastrini alti 177-179 cm). Non va, tuttavia, escluso che i montanti reggessero una struttura assimilabile a quella del più tardo coro della cattedrale di Capua (fne XI secolo), così come lo ha ricostruito Francesco Aceto83. Ad una partizione dello spazio liturgico apparteneva, invece, senza alcun dubbio il frammento di pluteo (fg. 11) esposto nella cattedrale di Sorrento; per la resa stilistica della zampa, che poggia sul bordo inferiore dell’elemento, anziché futtuare nel campo centrale, l’elemento va ascritto al consistente gruppo di manufatti (pilastrini, formelle, plutei con animali araldici) che Coroneo riconosce come una produzione sorrentina dei primi decenni dell’XI secolo84. L’iscrizione (fg. 12) incisa nel 1567 sul pilastrino murato, a mo’ di architrave della porta, nello scalone dell’episcopio (fg. 3) contribuisce a ricostruire la dispersione dell’arredo liturgico altomedievale di Sorrento. Grazie all’incrocio dei dati epigrafci e d’archivio, è stato così possibile riconoscere il contributo offerto dall’arcivescovo Pavesi alla salvaguardia del patrimonio storico-artistico della città, all’indomani dell’incursione turca del 1558. Oltre ad adoperarsi per la ricostruzione del palazzo arcivescovile e il ripristino della funzionalità del campanile85, il presule provvide, infatti, a riutilizzare, in posizione di prestigio e con un’elegante dedica, alcuni importanti elementi scultorei provenienti, molto probabilmente, dalla cattedrale.

* Il primo e il terzo paragrafo sono stati redatti da Carlo Ebanista, mentre il secondo da Teresa Laudonia. Desideriamo ringraziare mons. Felice Cece, già arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, per aver autorizzato lo studio dei manufatti custoditi nell’episcopio di Sorrento, e la comunità delle monache di Santa Maria delle Grazie di Sorrento, nella persona della superiora, suor Margherita Caputo, per averci permesso di visionare gli elementi scultorei conservati nel chiostro del monastero. Un sentito ringraziamento va, inoltre, al direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Sorrento, dott. Stefano Limpido, e alla sig.ra Maria Grazia Spano, per la cortese disponibilità. Siamo, altresì, grati all’arch. Rosario Claudio La Fata, alle dott.sse Iolanda Donnarumma e Anna Naclerio e al sig. Paolo Terlizzi per il supporto fornito nel corso delle ricerche. Desideriamo dedicare questo contributo alla cara memoria di suor Lorenza Ebanista O.P., Achille Laudonia e Nanà Spasiano. 1 C. Ebanista, Lastre con decorazione incisa dalla catacomba di S. Gennaro a Napoli, in Incisioni fgurate della Tarda Antichità, atti del convegno di studi, Roma 2012, a cura di F. Bisconti, M. Braconi, Città del Vaticano 2013, pp. 527-545. 2 C. Ebanista, Inediti elementi scultorei altomedievali dal santuario di S. Felice in Cimitile, in Isole e terraferma nel primo cristianesimo. Identità locale ed interscambi culturali, religiosi e produttivi, atti dell’XI congresso internazionale di archeologia cristiana, Cagliari 2014, a cura di R. Martorelli, A. Piras, P. Spanu, Cagliari 2015, pp. 743-755. 3 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo altomedievale da Sorrento, in «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti in Napoli», LXX, 2001, pp. 269-306. 4 F. Gandolfo, Considerazioni a margine di alcune sculture medievali di Sorrento, in «Nea Rhome», 2, 2005, pp. 277-286; M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum su marmi reimpiegati nella Cattedrale, in «Oebalus. Studi sulla Campania nell’Antichità», 1, 2006, pp. 195-231; F. Gandolfo, I plutei di Sant’Aspreno a Napoli e la decorazione animalistica nella Campania medievale, in Medioevo mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam, atti del convegno internazionale di studi, Parma 2004 (I convegni di Parma, 7), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 273-281; R. Coroneo, Le formelle marmoree di Sorrento, Ivi, pp. 489-495; L. Castelnuovo-Tedesco, J. Soultanian, Italian medieval sculpture in the Metropolitan Musem of art and the Cloisters, New York 2010, pp. 4-7. 5 I dati richiamati dalla storiografa erudita del Settecento non sono suffcienti per dimostrare che la primitiva cattedrale fu la chiesa extraurbana di San Renato (fg. 1, n. 11), poi sostituita nel corso del tempo da quelle urbane dei Santi Felice e Bacolo (fg. 1, n. 9) e dei Santi Filippo e Giacomo (fg. 1, n. 4); per la questione cfr. C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., pp. 284-288. 6 Ivi, p. 287. 7 B. Capasso, Memorie storiche della chiesa sorrentina, Napoli, dallo stab. dell’antologia legale, 1854, p. 124. 8 F. Ughelli, Italia Sacra Sive De Episcopis Italiae et Insularum adiacentium, VI, Romae, ex typographia reuerendæ Cameræ Apostolicæ, 1659, col. 769; F. Anastasio, Lucubrationes in Surrentinorum ecclesiasticas civilesque antiquitates nuncupatae …, I, Romae, typis Johannis Zempel prope montem Jordanum, 1731, pp. 483-484; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, XIX, Venezia 1864, pp. 705-706; a questi lavori vanno forse ricondotti i rilievi di XIV-XV secolo conservati nella cappella del fonte battesimale, già di patronato della famiglia Brancia (C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 287, nota 140). 9 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., pp. 287-288. 10 M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum, cit., pp. 218-224, fgg. 14-18. 11 B. Capasso, op. cit., p. 124, nota 1; cfr. altresì A. Grelle, Frammenti medioevali nella cattedrale di Sorrento, Saggi e Studi dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Napoli, Napoli 1962, p. 26, nota 4. 12 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 288. 13 Ivi, p. 287, nota 140. 14 Ivi, p. 289. 15 Archivio Storico Diocesano di Sorrento (d’ora in avanti ASDS), Visita pastorale di mons. Del Pezzo, anno 1650, c. 70v. 16 JVLIVS PAVESIVS BRIXIENSIS ARCHIEPISCOPVS SVRRENTINVS PAVLO | POST MISERRIMAM DIREPTIONEM HVIC PRAECLARAE VRBI CVM VNIVERSAE CI | VITATIS VEL INTERNECIONE VEL CAPTIVITATE A TVR | CIS ILLATAM HASCE AEDES EODEM EXITIO INCENSAS | ERVTAS ET SOLO AEQUATAS SVO AERE SVAQUE |SPONTE AD PVBLICA COMMODA PIE NON MINVS QUAM BENIGNE A | FVNDAMENTIS INSTAVRAVIT ATQUE EX AE | DIFICAVIT | M D LIX. Cfr. F. Ughelli, op. cit., col. 781; V. Donnorso, Memorie istoriche della Fedelissima, ed antica Città di Sorrento, Napoli, nella stamparia di Domenico Roselli, 1740, pp. 116-117; B. Capasso, op. cit., p. 87. 17 Il riutilizzo comportò il taglio del pluteo, la scalpellatura dei bordi e la realizzazione di due fori quadrati destinati alle grappe metalliche necessarie all’apertura del sepolcro; sul retro del marmo vennero incise, in alto, l’arme della famiglia Donnorso e, in basso, l’iscrizione su tre righi (C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 289, fgg. 2-3). 18 Ivi, pp. 289-290. 19 B. Capasso, op. cit., p. 93. 20 Si tratta forse degli «amplia vivaria, ex eo marmorum genere, quod Portam Sanctam vocant» (F. Anastasio, Lucubrationes in Surrentinorum ecclesiasticas civilesque antiquitates nuncupatae …, II, Romae 1732, p. 277) che, agli inizi del XVIII secolo, erano conservati «ante fores» del palazzo arcivescovile (C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 290, nota 1, fg. 1, n. 2); ne dà notizia anche un inedito manoscritto, in gran parte basato proprio sulla testimonianza dell’arcivescovo Filippo Anastasio, nel quale vengono defnite «conche di q(ue)lla sorta di marmi, che chiamano Porta santa» (Notizie antiche, Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, ms. XXVIII.C.20, f. 14v). 21 ASDS, Visita pastorale di mons. Provenzale, anno 1599, c. 22r: «Adsunt in foro prope januam praedictam (parvam) quatuor columnae marmoreae solo aequatae quarum unam laborata ut dicitur ad canale, palmorum sex. Adsunt quoque ante fores majores dictae Cathedralis Ecclesiae nonnullae aliae columnae marmorei lapides antiqui, columnae vero num. 23. connumerando integras ut medias, quarum quidem materies et longitudo est infra, videlicet: le quattro che stanno avanti la porta piccola in terra sono de marmo bianco de palmi 13 l’una, adest altera columna de colore mischio negro et bianco palmorum 7 vel circa, et sei pezzi di marmo bianco grossi; sotto il Portico avante la porta del palazzo vi sono in terra quattro capitelli di marmo lavorati, una colonna lavorata ad canale, et vi è uno cantaro di pietra di Massa; nel cortile vi è anco uno cantaro grande de pietra gentile di palmi 10 in circa rotto delle parti, sei capitelli di marmo, et varii de marmo et pietra de Massa»; cfr. B. Capasso, op. cit., p. 93, nota 1 (l’autore assegna impropriamente la visita pastorale all’anno 1610). 22 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., pp. 290-291. 23 Non a caso intorno al 1663 dalla chiesa dei Santi Felice e Bacolo vennero trasferite in cattedrale «plures marmoreas inscriptas tabulas»; una di queste, relativa alla sepoltura del vescovo Atanasio, fu reimpiegata come gradino dell’altare maggiore commissionato dall’arcivescovo Didaco Petra nel 1687 (C. Ebanista,

Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 290). 24 M.T. Tozzi, Sculture medioevali dell’antico duomo di Sorrento, Roma 1931, p. 6; P. Mingazzini, F. Pfister, Surrentum, Forma Italiae, Regio I, Latium et Campania, II, Firenze 1946, p. 171. 25 F. Anastasio, op. cit., p. 277; V. Donnorso, op. cit., p. 22; Notizie antiche, cit., f. 14v. 26 R. Pococke, A Description of the East and some other Countries, II, London, by W. Bowyer, 1743-45, p. 202. 27 Molto interessante è la segnalazione di «una Lapide posta sopra un Sepolcro de’ Doci della Republica Sorrentina, in cui stà scolpito un’uomo d’armi con il Corno Ducale» (V. Donnorso, op. cit., p. 22). 28 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 291, nota 173; M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum, cit., p. 227, fg. 21. 29 M.T. Tozzi, op. cit., p. 6. 30 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 291. 31 La demolizione era stata decisa con deliberazione decurionale del 29 settembre 1840 (A. Di Leva, Entro la cerchia de le mura antiche: la fortifcazione della città di Sorrento dal Cinquecento ai giorni nostri, Sorrento 1983, pp. 120-121). 32 M. Russo, Sorrento. Archeologia tra l’hotel Vittoria e Capo Circe. Scavi e rinvenimenti dal Settecento a oggi, Sorrento 1997, p. 16, nota 9. 33 H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, nach dem Tode des Verfassers herausgegeben von F. Von Quast, II, Dresden 1860, p. 227, fg. 104. 34 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 292. 35 M. Fasulo, La penisola sorrentina (Vico Equense, Meta, Piano, S. Agnello, Sorrento, Massalubrense). Istoria, usi e costumi, antichità. Ricerche …, ed. II, Napoli 1906, pp. 468-477. 36 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 293. 37 Il pilastrino è stato scoperto e messo in luce durante i lavori di impianto del ristorante “La basilica”, ai cui proprietari il vano appartiene. 38 Sulla stessa parete sono murati altri tre frammenti di marmo di cui è visibile una sola faccia. Il frammento di dimensioni maggiori (32 x 20 cm), di forma rettangolare, presenta tracce di lavorazione, con un incasso che crea un bordo laterale di 7 cm e uno in basso di 24 cm; gli altri due non presentano tracce di lavorazione e misurano rispettivamente 21 x 15 cm e 15 x 14 cm. 39 Attualmente è ben visibile solo l’omega superiore, poiché quella inferiore è coperta parzialmente dal piano stradale. 40 C. Ebanista, Lastre con decorazione incisa, cit., p. 530, fg. 3e; F. Betti, Campania carolingia. I rilievi della cattedrale di Teano e il tentativo di espansione pontifcia nel Ducato di Benevento, in «Arte Medievale», s. IV, VI, 2016, p. 9, fg. 6. 41 Idem, E. Procaccianti, Elementi di recinzione marmorea di età tardo antica dalla catacomba di S. Gennaro a Napoli, in «Rivista di Archeologia Cristiana», LXXXIX, 2013, p. 90, fg. 2, a1-a2. 42 D. Cascianelli, La scultura funeraria e architettonica, in Le catacombe di San Callisto. Storia, contesti, scavi, restauri, scoperte. A proposito del cubicolo di Orfeo e del Museo della Torretta, a cura di F. Bisconti, M. Braconi, Todi 2015, p. 178, fg. 7. 43 C. Ebanista, E. Procaccianti, op. cit., p. 90. 44 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., pp. 279- 282, fgg. 5-6. 45 Idem, Inediti elementi scultorei altomedievali, cit., pp. 744, 751, fg. 1, nn. 4-5. 46 Idem, Lastre con decorazione incisa, cit., p. 541, fg. 3a. 47 Ivi, p. 541, fg. 3b. 48 Ivi, p. 540, fgg. 1-2. 49 Ai lati della porta (attualmente tamponata) sono murati due frammenti di sarcofagi marmorei risalenti all’epoca dell’imperatore Caracalla (P. Mingazzini, F. Pfister, op. cit., pp. 200-202, tav. XXXVI, fgg. 124-125); sul pianerottolo sono, invece, collocati due capitelli databili tra la fne del IX secolo e gli inizi del X (M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum, cit., pp. 224-226, fgg. 19-20). 50 C. Ebanista, et manet in mediis quasi gemma intersita tectis. La basilica di S. Felice a Cimitile: storia degli scavi, fasi edilizie reperti, Memorie dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli, XV, Napoli 2003, p. 218, fg. 75. 51 M.T. Tozzi, op. cit., p. 11, fg. 4; R. Coroneo, op. cit., p. 491, fg. 11; F. Gandolfo, Considerazioni a margine, cit., pp. 281-282, fg. 5; F. Gandolfo, I plutei di Sant’Aspreno, cit., p. 276, fg. 9. 53 F. Gandolfo, Considerazioni a margine, cit., pp. 278-282, fgg. 2-3; F. Gandolfo, I plutei di Sant’Aspreno, cit., p. 274, fgg. 1-2. 53 R. Coroneo, Scultura medio-bizantina in Sardegna, Nuoro 2000, pp. 126-128, nn. 1.11 (Assemini, chiesa di San Giovanni Battista); 4.13 (Cagliari, Museo Archeologico Nazionale); 6.1 (Dolianova, chiesa di San Pantaleo); 8.1 (Donori, Casa comunale); 8.2; 9.4 (Maracalagolis, parrocchiale della Beata Vergine degli Angeli); 13.23 (Sant’Antioco, chiesa di Sant’Antioco Sulcitano); 15.3 (Ussana, parrocchiale di San Sebastiano). 54 Il marmo si differenzia da quello dei montanti disposti in verticale, in quanto presenta in superfcie una patina tendente al grigio. 55 La cuspide è alta 16 cm, il frammento sinistro 84 cm, mentre quello destro 110 cm. 56 Per adattare il manufatto alla nuova funzione di architrave, a destra, è stata creata in corrispondenza della base del pilastro una fnta cuspide in malta. 57 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 294, nota 202 con bibliografa precedente. 58 M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum, cit., pp. 224-226, fgg. 19-20. 59 Il manufatto è lavorato con l’uso del trapano (ivi, pp. 227- 228, fig. 21). 60 Ivi, pp. 217-222, fgg. 16-17. 61 R. Coroneo, op. cit., pp. 152-154; C. Ebanista, et manet in mediis, cit., pp. 217-218. 62 Ivi, pp. 160-161, fg. 128. 63 Ivi, pp. 224, 226, nn. 4.15, 6.1. 64 Il primo rombo a partire da sinistra ha le diagonali di 21,5 x 10 cm; il secondo di 26,5 x 10 cm; il terzo di 27 x 10 cm; il quarto di 20,5 cm x 10 cm. 65 A partire da sinistra il primo cartiglio misura 24,5 x 9 cm, mentre il secondo 25,5 x 9 cm. 66 Dimensioni: 41 x 9,2 cm. 67 Cfr. C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 289. 68 ASDS, Visita pastorale di mons. Del Pezzo, anno 1650, c. 74v: «Ad Summitate(m) et Planitie(m) Palatii ascenditur p(er) gradus trig.ta. In medietate dicte scale est quodda(m) ostiu(m) ligneu(m), quod noctis, vel prandis tempore solet claudi». 69 Nel corso di una ricognizione nei locali adiacenti lo scalone, è stato possibile individuare l’altro versante della porta tamponata; da questa, in origine, grazie ad una scomparsa scala che terminava in un’apertura (ora chiusa da una porticina metallica), si poteva raggiungere il giardino dell’episcopio. 70 B. Capasso, op. cit., pp. 86-88; P. Ferraiuolo, La chiesa e i suoi pastori, Castellammare di Stabia 1991, p. 151. 71 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., pp. 273- 284, fgg. 2-10. 72 Fino al 2006 il frammento era utilizzato come paracarro a protezione di un ingresso secondario del monastero di San Paolo (M. Russo, Tre nuove iscrizioni da Surrentum, cit., p. 215, tav. I,d; R. Coroneo, op. cit., p. 493, fg. 17).

73 R. Coroneo, op. cit., pp. 137-138. 74 Ivi, p. 492. 75 Cfr. supra, nota 72. 76 M.T. Tozzi, op. cit., pp. 17-20, fg. 7; A.O. Quintavalle, Plutei frammentari d’ambone nel Museo Correale a Sorrento, in «Rivista del Regio Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte», III/1-2, 1931, p. 162; R. Coroneo, op. cit., p. 165. 77 A. Grelle, op. cit., p. 7, fg. 1; M. Rotili, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, p. 52; R. Coroneo, op. cit., fg. 135. 78 C. Ebanista, Inediti elementi di arredo scultoreo, cit., p. 294, fgg. 5-6. 79 Ivi, p. 298. 80 Cfr. supra, nota 51. 81 Cfr. supra, nota 57. 82 Cfr. supra, nota 49. 83 F. Aceto, “Peritia greca” e arte della Riforma: una proposta per il coro della cattedrale di Capua, in Medioevo mediterraneo, cit., pp. 627-636, fg. 15. 84 R. Coroneo, op. cit., p. 172. 85 Cfr. supra, nota 15.

Per l’Amazzonomachia , riproponiamo quanto già pubblicato in articoli precedenti, tratto dalla preziosa fonte storica

FORMA ITALIAE   REGIO I   LA TIVM E1, CAMPANIA  VOLVMEN SECVNDVM   SVRRENTVM

PAVLINVS MINGAZZINI ET FRIDERICVS PFISTER   SANSONI EDITORE – FIRENZE  MCMXLVI

I MARMI DELLA CURIA ARCIVESCOVILE DI SORRENTO 201

1) LASTRA DI SARCOFACO RAPPRESENTANTE L’AMAZONOMACHIA. (TAV. XXXVI, 124)

Alt. mass., m. 1,08. Largh. mass., m. 1,flli.

Il lato superiore è integro, si che se ne è conservato anche il listello ; gli altri tre lati sono incompleti, ma la parte mancante dev’essere minima.

Da sin. v. destra : un Greco che afferra un’Amazzone per i capelli, tirandola giù dal cavallo impennato. Ambedue sono volti verso destra. In basso, fra i due contendenti, un Greco (elmo con visiera a punta), caduto sulle ginocchia, che regge le briglie del cavallo, caduto anch’esso. Segue il gruppo di Açhille e Pentesilea. L’eroe stringe nella sin. la lancia e si volge indietro, con la destra sorregge la regina che si abbandona morente. In basso, testa di un cavallo caduto, forse quello stesso della regina.

Più a destra, gruppo di un Greco appiedato ehe si difende contro un’Amazzone tL cavallo. Sotto il cavallo dell’Amazzone, Greco inginocchiato che a1Ierra per i capelli un’Amazzone caduta.

Come giustamente osserva la dott. Rocco, il sarcofago si riattacca principalmente al sarcofago di Benevento (Robert, tav. XL, n. 95); non sappiamo però se questo basti per fare dei tre sarcofagi campani (i due sorrentini e quello beneventano) un gruppo a sé, distinto dal gruppo maggiore <lei sarcofagi urbani. Certo è che, pur restando fedele al consueto schema del gruppo di Achille e Pentesilea nel mezzo, fra due gruppi, ciascuno dei quali presenta un Greco appiedato che tira giù dal cavallo un’Amazzone per trucidarla, gli autori (o l’autore) dei tre sarcofagi campani han voluto introdurre un po’ di chiarezza nell’insieme diminuendo il numero delle figure e facendole quindi più grandi. La riduzione è· massima nel nostro sarcofago, minore nel seguente, minima in quello beneventano.  Ma poiché d’altra parte non si è voluto lasciare nemmeno un centimetro di fondo libero esi è dato alle figure meno impo􀐝tanti dimensioni minori che a quelle principali, il risultato non è stato né troppo chiaro né troppo felice.    Esecuzione e disegno sono talmente simili a quelli del n. seguente, che i due sarcofagi debbono essere non solo contemporanei, ma della stessa mano.

ANNA Rocco in Rendiconti della R. Accademia di Arch., Lettere ed Arti <lella Bocietà Reale di N apuli,’ XXI, 1941 ; tig. 1.

  1. ANASTASrns, l!Jlucubrat-iunes, II, p. 277 (la dà come esistente nel Pal. Episcopale, interpretandone

il soggetto come il Ratto <lellc 􀐞abine. Si può dubitare se t.rat.tii;i di questa lastra o della seguente).

A°FASULO, o. c., p. 479, in principio (la dà come esistente presso il sig. Francesco De Luca nel 1854).

 ALTRA LASTRA Dl  SARCOFAGO CON SCENE DELL’AMAZONOMACHlA. (TAV. XXXVl, li5)

Alt. mass., m. 118 ; largh. mass., m. 1,56.   Integra in alto ed in basso, mutila ai lati.

Procedendo da sin. verso destra : un Greco, nudo ad eccezione dell’elmo e della clamide, Con la spada (ne resta solo un moncone) nella destra, tira giù dal Cavallo impennato   un Amazzone che volge  lo sguardo verso di lui e sembra afferrarsi i capelli con la sinistra ; nell’avambraccio sin. tiene infilata la pelta. Di tra le gambe del Greco sbuca un guerriero caduto in avanti, che con la sinistra stringe al morso le redini del cavallo caduto. Il centro della scena è occupato dal consueto gruppo di Achille e Pentesilea. L’eroe stringe nella sinistra la lancia e si volge indietro ; con la destra sorregge la regina che si abbandona morente, ma che nella sinistra stringe ancora la bipenne e porta ancora infilata la pelta all’avambraccio sin. Più a destra, gruppo <li un Greco che con la sinistra trattiene il polso destro di un’Amazzone a cavallo, la quale stava per colpirlo con l’ascia. Fra le gambe del Greco, un cavallo caduto. Fra il Greco e Pentesilea, un Greco a terra, nell’atteggiamento <li chi è ferito : stringe infatti la coscia sinistra con la mano sinistra. Più a destra ancora, un’Amazzone (incompleta) e la testa del suo cavallo. Sopra la testa del Greco ferito, una testa quasi di faccia, sim!le ad un satiro barbuto, di cui non sappiamo dar ragione.  Bi noti che i due Greci vincitori portano un elmo simile a quello della Partheuos di Fidia (protone equina fra due pennacchi), mentre i due Greci caduti portano un elmo di tipo romano (con paragnatidi, ma senza cimiero).  È adoperato il trapano con i « ponticelli». La pupilla è incisa con un semplice puntino ; la sclerotide è indicata. Anche le sopracciglia sono indicate con trattini.

Datazione : i dati stilistici e tecnici, nonché la fisionomia del Greco vincitore del gruppo di sinistra che presenta una certa somiglianza con CaracaIla, c’inducono a datare la lastra nel periodo di questo imperatore.

BiblioOGRAFIA :

ANNA Rocco in Rendiconti Ace. di Napoli, XXI, 1941, fìg. 2.

lL FASULo, o. c., p. 4 79, in principio (lo dà come esistente prei;so il sig. Francesco De Luca nel 18fH ).

Tu jussit temporibus.   Pag 476    la penisola sorrentina   manfredi fasuli

  1. Fregio f)f!r sarcofago, con basso rilievo rapl’resentantc la guerra delle Amazwni ,  con iscr: Tu jussit temporibus.
Generico giugno 2023Generico giugno 2023Generico giugno 2023Generico giugno 2023
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