Lucio Esposito
Nel giro di venti anni dalla pubblicazione della Gerusalemme Liberata, i soffitti delle ville patrizie dei Carraresi, dei Veneziani erano tutte affrescate con scene tratte dalla Gerusalemme. Ma anche nel Castello di Conversano troviamo per opera di Paolo Finoglio ben dieci tele, di cui una voluta da Sgarbi all’Expo di Milano. In termini moderni possiamo dire per similitudine commerciale non letteraria, che a sei mesi dalla pubblicazione del libro di Harry Potter iniziano le riprese cinematografiche e poi la serie. Questa è la misura del successo.
Giovedi 5 Aprile 2018 presso la sala Consiliare del Comune di Sorrento si terra un convegno seminario che dal mattino si protrarrà per l’intera giornata, con insigni studiosi del Tasso provenienti dalle varie Università Italiane.
Il contributo del Museo Correale di Terranova è costituito da una serie di formelle in ebano e avorio che formavano un cabinet con scene tratte dalla GERUSALEMME LIBERATA, quindi non solo quadri e tele ad olio o affreschi, ma anche materiali preziosi per la costruzione di ogetti ad uso personale.
La Gerusalemme Liberata nei dipinti di Paolo Domenico Finoglio nel Castello di
Conversano
di Chiara Lubrano
Uno tra i più grandi poemi epici della storia della letteratura: La Gerusalemme Liberata di Torquato
Tasso. Composto in ottave, poema sulla liberazione del Santo Sepolcro. Nello specifico narra della
prima Crociata (1096-1099), della permanenza dei cristiani in Terrasanta e dell’assedio finale di
Gerusalemme. Si differenzia dalla struttura del classico romanzo cavalleresco, eliminando la
molteplicità delle azioni, concentrandosi sulle vicende di un eroe centrale, Goffredo di Buglione,
con una struttura rigorosamente unita. Con questo poema, Tasso si presenta come il perfetto
cristiano, favoreggiando quindi i principi della Controriforma, ossia il potere assoluto della Chiesa.
Ciò che invece vuole far notare ai lettori è la sofferenza con cui egli vive l’edonismo naturalistico
rinascimentale, per il clima politico del tempo. Questa inquietudine lo porta a descrivere i piaceri
mondani da lui desiderati attraverso i personaggi pagani, chiamati perciò “erranti”. Si può quindi
parlare del “bifrontismo”, ovvero la proiezione di questo suo essere su alcune figure. La poetica di
Tasso è l’insegnamento, infatti l’impegno del cristiano nel liberare Gerusalemme, corrisponde ad
una metafora: la vita del fedele è una battaglia. Lo strumento che utilizza per insegnare è il
“verosimile”, ovvero ciò che sarebbe potuto avvenire, il vero ma con un margine di finzione. La
verità è necessaria per far vincere il bene, ma deve essere pronunciata nella giusta maniera per
essere accettata, rendendola quindi bella.
L’opera, pubblicata più volte senza il consenso di Tasso, viene revisionata dall’autore fino ad un
radicale rifacimento per la rigida censura della Chiesa, e secondo studiosi più recenti anche per
ragioni poetiche e stilistiche, prendendo il nome di Gerusalemme Conquistata. Alcuni episodi della
prima versione infatti sono stati eliminati poiché considerati da Tasso “eccessivi”.
Interessante può essere esaminare rappresentazioni pittoriche dell’opera.
Ricca com’è di grandi avvenimenti e d’importanti princìpi etici, la “Gerusalemme Liberata” è stata
fonte d’ispirazione per molti artisti di ogni epoca. In particolare mi soffermerò sui dipinti realizzati
da Paolo Domenico Finoglio.
Considerato a lungo dalla critica un pittore minore, egli operò sia a Napoli, dove ha affrescato la
cappella della Certosa di San Martino, sia in Puglia, in provincia di Bari, precisamente nel Castello
di Coversano, dove ha lasciato dieci tele dedicate ad altrettanti episodi della Gerusalemme
Liberata. Poco conosciuto, poiché risiedeva lontano dalla capitale e quindi dalle celebrazioni
ufficiali, gli vengono commissionate queste tele dal conte di Coversano, Giangirolamo II Aquaviva
d’Aragona. Nei dipinti vengono riprese vicende militari, esaltando i protagonisti e i loro
atteggiamenti “eroici”, nei quali si rispecchiava il conte, vantandosi di avere antenati combattenti.
In particolare “Il supplizio di Olindo e Sofronia” secondo alcuni storici prenderebbe spunto da
alcune tele del Caravaggio, con cui Finoglio entrò in contatto a Napoli.
Pur non essendo un artista alquanto affermato, le sue opere hanno una perfezione e una bellezza
unica. Le tele hanno tutte formati rettangolari e sono di grandi dimensioni. La teatralità nei gesti
dei soggetti delle opere è evidente quanto la precisione delle pose e l’accuratezza nei dettagli.
Messe in ordine creano un effetto di immedesimazione totale nel poema, rendendo capaci gli
spettatori di “sentire” le scene. L’esaltazione della guerra, dell’amore, ma anche della sofferenza
dovuta alla morte rendono completa l’intera composizione, di cui inoltre si può ammirare e
apprezzare ogni singola tela. Tra queste la più intraprendente è “Il duello tra Raimondo di Tolosa
ed Argante” dove è presente l’esaltazione del valore e dell’eroismo, nascondendo però la violenza
e la crudeltà dalla pacatezza dei gesti. È presente anche il ciclo amoroso tra Rinaldo e Armida,
dove si sottolinea sia l’incantesimo dell’amore sia i piaceri attribuiti ai personaggi pagani, dando
quindi un quadro completo non solo del contenuto della Gerusalemme liberata, ma anche
dell’attitudine del suo autore.
“Rinaldo e Armida nel giardino incantato” “Il duello tra Raimondo di Tolosa ed Argante”
Ma cosa ha spinto numerosi artisti, tra cui appunto il Finoglio, a rappresentare la poesia del Tasso?
Qualsiasi forma di arte non sempre nasce dalla bellezza degli amori, degli avvenimenti importanti.
Molto spesso colui che scrive, dipinge, scolpisce è caratterizzato da uno stato di infelicità che gli
impone uno sfogo con un espediente come l’arte. Basti pensare alla bellezza dei versi di Dante per
la sua Beatrice, accompagnati dalla malinconia, dal dolore, ma tanto impeccabili da trasmetterci lo
stato d’animo dell’autore. Si può quindi dedurre che il fascino dei versi di Tasso, in un certo qual
modo, dipenda dal tormento del suo vivere quotidiano.
Non si intende però che ciò che è bello derivi necessariamente da un vivere triste.
Si può notare con meraviglia la descrizione di alcuni paesaggi descritti dal Tasso nella sua opera, e
come danno una serena immagine favoreggiando i piaceri nascosti desiderati dall’autore. Uno tra
gli esempi più plausibili è la descrizione della vegetazione del Giardino di Armida, che appare
esotica e non, dando perfettamente l’impressione di un luogo incantato. La descrizione è
caratterizzata dalla totale valenza espressiva del Tasso, dettata certamente dalla sua ispirazione.
L’accuratezza e la bellezza da cui dipende la visione di questi posti, e la tranquillità che
trasmettono, derivano probabilmente anche dall’immagine di Sorrento, sua città natale.
Al solo pensiero che questa città affacci sul mare dà l’idea di un posto pieno di colori che brillano
sulle acque del porto. L’impressione di una città luminosa e piena di vita, esattamente come il
Giardino di Armida, che con i suoi elementi esotici dà la sensazione della presenza di colori dalle
ricche tonalità.
Maggiormente le risorse naturalistiche della città danno l’idea di quel verde accentuato
certamente dalla luce del sole che caratterizza meravigliosamente Sorrento, per il suo clima
mediterraneo. Stesso verde è facile immaginarlo quando si legge del Giardino.
L’ispirazione presa dal Tasso per qualunque forma artistica è dunque giustificata da molteplici e
validi fattori. Chi si rifà a questo grande autore si rifà alle bellezze nascoste, intravedendo i piaceri
dell’uomo indirettamente, ed essere in grado di dare lo stesso fascino alle proprie opere. Impresa
non facile quella di farsi capire tramite l’arte, ma la bravura del Tasso si rispecchia proprio in
questo.
Nella prima tela si osserva Clorinda, nascosta nella sua armatura lucente, in groppa al cavallo bianco, mentre ascolta da un anziano testimone la storia dei due innamorati, condannati alla morte sul rogo. Sofronia è posta al centro della composizione, con le mani legate dietro, spalla a spalla con il suo Olindo, rilucente nel suo candore e con lo sguardo affranto, volto verso il cielo in richiesta d’aiuto. L’episodio, narrato nel secondo canto della Gerusalemme Liberata, costituisce il prologo ideale del poema: Clorinda rimane commossa e provocata dal gesto dei due giovani cristiani, che testimoniano il vero amore nell’atto del sacrificio e dell’offerta della propria vita per la salvezza dell’altro. Anche per Clorinda, come per tutti i protagonisti della storia, inizia un processo di cambiamento che culminerà infine nel momento della conversione.
Mentre cavalieri cristiani e mussulmani si contendono il campo, l’esperienza dell’amore offre un’imprevedibile opportunità affinché l’odio e l’incomprensione reciproca tra i due popoli contendenti vengano superate: Erminia, figlia del re di Antiochia, si innamora del valoroso cavaliere crociato Tancredi, mentre Tancredi a sua volta perde la testa per la guerriera saracena Clorinda.
La secondatela raffigura l’episodio del terzo canto, in cui Tancredi scontrandosi con Clorinda e riconosciutala, si limita a difendersi e le dichiara il suo amore, mentre sullo sfondo infuria la battaglia. L’artista anima i sentimenti dei protagonisti enfatizzandone i gesti e le espressioni facciali e affida alla contrapposizione tra le masse cromatiche scure e chiare lo sviluppo drammatico degli eventi. Clorinda, turbata dalla confidenza di Tancredi, lo allontana da sé sebbene vanamente inseguita. Argante, condottiero dei saraceni, trae vantaggio dalla distrazione di Tancredi, uccidendo nel prosieguo del racconto il prode Dudone. Tancredi, a differenza dell’episodio precedente di Olindo e Sofronia, si illude di amare attraverso il possesso, esaltandosi nei suoi sentimenti e dimenticando il compito che gli è stato assegnato dal destino, di portare cioè alla vittoria la spedizione dei crociati.
Nella quarta tela Clorinda, in un momento di pausa durante il conflitto, incontra il suo vecchio precettore Arsete che le svela la sua storia, fino a quel momento a lei sconosciuta: da piccola era stata sottratta ai suoi genitori cristiani, prima ancora che avesse ricevuto il battesimo e poi era cresciuta in un popolo straniero senza conoscere la sua vera identità. Ancora sconvolta dalla rivelazione e turbata da un sonno premonitore, Clorinda scende in battaglia con un’armatura non sua e si scontra proprio con Tancredi che non la riconosce. Al termine dello scontro, Tancredi ha la meglio e riesce a trafiggere la sua temeraria avversaria, accorgendosi troppo tardi che si tratta della sua amata. Clorinda chiede perdono a Tancredi e lo implora di battezzarla decidendo, nell’ultimo momento della sua tormentata esistenza, di convertirsi al Cristianesimo. Nella tela Tancredi raccoglie con l’elmo l’acqua per aspergere Clorinda; nella notte profonda e oscura, i volti sono illuminati dagli improvvisi bagliori della battaglia e un inconsueto pallore accarezza il volto della fanciulla che, deposto ogni rancore e ogni rigidità, ricompare nella sua femminilità a lungo nascosta sotto la sua corazza. Tancredi è costretto, amaramente a prendere coscienza della fallacità del suo amore ma, allo stesso tempo, il destino gli affida la sorte di salvare l’anima della persona che aveva profondamente adorato.
Nella quinta tela la narrazione del Tasso ha fatto emergere intanto il personaggio di Rinaldo il quale, prendendo il posto del defunto Dudone, ha impresso una svolta agli eventi bellici, conducendo l’esercito cristiano sotto le mura di Gerusalemme. Anche lui, tuttavia, cade sotto i sortilegi di Armida e viene trascinato nel castello incantato presso le Isole Fortunate. Qui lo scorgono, abbandonato tra le braccia di Armida, i prodi cavalieri Carlo e Ubaldo, mandati da Goffredo di Buglione per liberare l’eroe e ricondurlo al campo cristiano. Rinaldo volge lo sguardo in alto, sperduto e smarrito, verso la sua intrigante amata mostrando nel suo trasalimento la psicologia turbata di chi ha perduto, con la consapevolezza del compito assegnatoli dal destino, anche la coscienza della propria identità. I colori più vivaci e sgargianti di quelli usati nelle precedenti tele, manifestano insieme all’idillico paesaggio l’atmosfera calda e sensuale che avvolge i protagonisti.
Nella sesta tela Carlo e Ubaldo persuadono Rinaldo a tornare sui suoi passi, mostrandogli un prodigioso scudo adamantino offerto da mago di Ascalona, con la particolare proprietà di restituire la coscienza del proprio passato a chi vi si specchia. Nell’episodio illustrato, attraverso la sapiente e teatrale mimica gestuale e facciale dei tre personaggi, si illustra la virtù dell’amicizia, capace di sostenere il cammino dell’eroe cristiano. Rinaldo comprende così i propri errori e, ricevuto il perdono, subito si guadagna la possibilità di riprendere il proprio posto nel suo esercito. Il cielo tempestato dalle nuvole e i colori cangianti delle vesti, modulati tra le cupe ombrosità e le improvvise accensioni luminose, rivelano il tumulto interiore dei personaggi raffigurati.
Nella settima tela Armida, nel suo scarlatto mantello fiammeggiante di passione, tenta invano di trattenere con le sue lusinghe Rinaldo, il quale si volge malinconicamente in un’ultima esitazione verso di lei. Egli, però, è ormai coinvolto dal passo dei suoi compagni d’arme, uno dei quali lo trascina con la mano afferrando il suo dorato mantello. La dialettica delle luci mostra chiaramente che l’ombra si volge a destra, verso Armida, mentre la luce proviene dalla direzione opposta, dove Rinaldo si sta adesso risolutamente dirigendo.
Nell’ottava tela il nocchiero trasporta Rinaldo e i suoi compagni sulla barca che li porterà in salvo, mentre Armida sulla spiaggia rivolge disperata le sue imprecazioni e maledizioni. Il remo, disposto diagonalmente, separa definitivamente la sorte degli uomini dalle grinfie dell’astuta Armida, mentre gli occhi non riescono a resistere alla tentazione di un ultimo sguardo. Solo nell’abbraccio di una compagnia l’eroe può resistere alla confusione e ai dubbi suscitati dai sentimenti incerti e fluttuanti che distolgono dalla determinazione e dalla volontà. La reazione scomposta di Armida rivela, d’altro canto, la falsità e la fallacia della sua proposta d’amore.
Nella nona tela Tancredi ha ormai riacquistato il suo ruolo a capo della spedizione cristiana e affronta in uno scontro decisivo Argante, sfidandolo in un interminabile ed estenuante duello. I due contendenti si scontrano eroicamente ma la vittoria spetta a Tancredi che alla fine dello scontro giace sfinito sul campo di battaglia, manifestando nel volto un pallore che richiama l’analoga scena dell’agonia di Clorinda. Nella tela Erminia sopraggiunge sulla scena da destra, addolorata e con le braccia spalancate, mentre lo scudiero Vafrino riconosce e indica l’eroe sofferente. L’amore di Erminia, purificato e autenticato dalle prove e dalla sofferenza che ha provato, trova infine nel momento conclusivo del racconto il suo confortante coronamento. Le mura di Gerusalemme, con gli accampamenti e gli ultimi furori della battaglia si stagliano sullo sfondo.
Nella decima tela L’epilogo finale vede Rinaldo trionfante e sicuro trascinatore dell’esercito cristiano verso la vittoria finale. L’incombente presenza dei cavalli comprime lo spazio, accentuandone i toni drammatici, magistralmente espressi anche dalle movenze dei personaggi. Anche Tancredi, benché ferito, si batte valorosamente contribuendo alla disfatta finale di Aladino e Solimano, i due condottieri saraceni, che pagano con la propria vita l’ultima strenua resistenza. Alcune figure sullo sfondo assistono alla scena evidenziando la dimensione spettacolare dell’accaduto. Negli episodi finali persino Armida si sottomette e si converte, lasciandosi persuadere dalla consolazione di Rinaldo. Il Tasso nel suo poema invita il lettore a comprendere che la vittoria delle armi è povera cosa rispetto alla vittoria della fede: non è tanto con la forza e la violenza, sicuramente apprezzata nei valori del tempo, a conferire il trionfo finale, ma l’energia persuasiva dell’amore legata a una profonda e convinta esperienza religiosa.